Le protesi comunemente conosciute hanno un profilo anteriore sferoidale; forme di questo tipo vengono tendenzialmente espulse dalla cavità anoftalmica in quanto inadatte al corretto mantenimento della cavità orbitale e della motilità palpebrale.
Queste protesi che d’ora in poi definiremo “standard” appena applicate danno un risultato soddisfacente ma già dopo alcuni mesi le palpebre, subendo la spinta progressiva della protesi verso l’esterno, tendono a muoversi sempre meno sulla protesi stessa, riducendo via via la loro escursione.
A ciò va aggiunto che proprio a causa della loro debole struttura, le palpebre risultano sempre più sfiancate dalla spinta verso l’esterno e divengono prive di una qualsiasi azione contenitiva; i fornici, per la stessa causa, si riducono come ampiezza e profondità, la cavità tende a retrarsi sempre di più e la protesi, nei casi più negativi, viene addirittura espulsa.
Il nostro concetto di applicazione protesica rifugge da forme sferiche semplificate e ricerca lo sviluppo costante del volume cavitario, ottenibile tramite il progressivo ingrossamento della protesi stessa; contemporaneamente, modellando la sua superficie anteriore, si educano le palpebre al mantenimento dei loro movimenti assicurando cosi un’escursione palpebrale ottimale ed una valida forza contenitiva che impedisce alla protesi di uscire. Il bordo della protesi oculare, zona generalmente trascurata, è strutturato per aggirare ogni tipo di obliterazione e di briglie eventualmente presenti che altrimenti pregiudicherebbero la tollerabilità.
Nelle cavità più obliterate a causa di trattamento roentgenterapico, ustioni, chemioterapia, anoftalmi congeniti, ecc. si ricerca come obiettivo primario l’ampliamento dei residui di fornice ancora in possesso di una seppur ridotta elasticità, educando nel contempo le palpebre a riprendere almeno parte dei movimenti naturali; nei casi di anoftalmia congenita, è particolarmente importante applicare la protesi il più presto possibile ed aumentarne periodicamente il volume nel tempo più breve, per ottenere un armonico sviluppo dei piani ossei zigomatico-orbitali che permarrebbero altrimenti iposviluppati rispetto alla parte controlaterale.
Bulbi Subatrofici e Microftalmi Con o Senza Residuo Visivo
Per il ricoprimento dei bulbi in tisi si applica generalmente una protesi notevolmente concava sino a renderla estremamente sottile; una protesi siffatta, con un’unica curvatura interna, provoca un contatto traumatizzante sulla cornea, spesso presente sui bulbi in tisi ed in possesso di discreta sensibilità.
Le nostre protesi a guscio sono invece realizzate in due fasi distinte: la prima consiste nell’applicazione di una lente a contatto sclerocorneale in PMMA dal profilo bicurve per disimpegnare la cornea da pericolosi contatti (questo disimpegno corneale può essere decentrato rispetto all’asse della lente quando anche la cornea non è in posizione ortoforica) tale lente viene controllata con esame in fluoresceina come una qualsiasi lente a contatto e via via modificata sino ad ottenere una perfetta tollerabilità. Una volta ottenuta la geometria ottimale, si passa alla seconda fase.
Sulla base dei parametri ottenuti nella prima fase si riproduce la stessa forma utilizzando la resina acrilica e colorando successivamente l’iride ed i vasi della sclera; piccoli fori, invisibili da distanza normale, permettono un costante passaggio di ossigeno che integra quello apportato dal flusso lacrimale sulla cornea. In questo modo si ottiene una protesi a guscio che unisce i vantaggi dell’adattamento manuale a quelli della precisione contattologica. Nei casi in cui sia richiesto, si possono progettare lenti sclerali cosmetiche con diottro incorporato, ad esempio per casi di albinismo o di vaste deturpazioni estetiche (odontocheratoprotesi).
Il programma di applicazione suddetto si svolge in diverse sedute (4 o 5 per un individuo adulto) e comporta il successivo controllo e l’eventuale perfezionamento dell’applicazione fino a sei mesi dopo la consegna.
La Scelta Del Materiale: Vetro o resina Acrilica?
Le protesi oculari costruite prima del secondo conflitto mondiale erano in vetro. L’usura di questo materiale creava però notevoli problemi estetici e di tollerabilità. Nonostante diversi miglioramenti nella produzione di questi prodotti, le protesi in vetro hanno mantenuto gran parte delle loro proprietà negative:
Usura del materiale: può provocare fastidiose irritazioni e comunque, peggiora gradualmente l’aspetto estetico (In alcuni casi si è verificata la rottura della protesi dentro la cavità).
- Breve vita della protesi: è la conseguenza della facile usura ed obbliga il paziente alla sostituzione ogni 12/24 mesi al massimo.
- Bassa resistenza agli urti: è sufficiente la semplice caduta della protesi per causare la sua rottura.
- Scarsa lavorabilità del materiale: impedisce al protesista di modificare, se necessario, la forma della protesi in base alle caratteristiche anatomico – morfologiche.
Occorre sottolineare che la diffusione delle protesi oculari in vetro è dovuta soprattutto al basso costo anche se le frequenti sostituzioni obbligano il portatore a spese continue.
La resina acrilica, per contro, deve la sua posizione predominante nel campo protesico al fatto che, tra tutti i materiali artificiali oggi disponibili, è quello che meglio corrisponde ai requisiti richiesti per la fabbricazione di una protesi:
- Tollerabilità ai tessuti
- Facilita di lavorazione
- Perfetta modellabili
- Infinita ripetitività del modello
- Stabilita della forma
- Inattaccabilità a secrezioni e liquido lacrimale
- Facilità di pulizia
- Infrangibilità
- Indelebilità dei colori
- Aspetto vetroso, simile al cristallo
La protesi in resina acrilica, a differenza di quella in cristallo e a discrezione del Medico, può non essere mai tolta dalla cavità neppure durante il sonno; le operazioni di pulizia quotidiana possono essere svolte con la protesi applicata. Questo evita che le palpebre vengano eccessivamente sollecitate da continui inserimenti e rimozioni, ovviando anche al disagio psicologico del paziente che non deve più maneggiare la protesi.
L’aspetto negativo di questo tipo di protesi, cioè il maggior costo, è in realtà puramente teorico; esiste una differenza a sfavore del materiale acrilico ma questa è largamente compensata dal fatto che la protesi in resina è praticamente indistruttibile e non si usura mai; la protesi in cristallo, invece, costringe il paziente a frequenti sostituzioni che tramutano l’apparente vantaggio economico del primo acquisto in una spesa continua nel tempo.
Igiene Della Cavità Anoftalmica
La rimozione della protesi è consigliata solo dopo aver contratto infezioni congiuntivali od affezioni simili. Quest’operazione sarà comunque eseguita solamente dal medico che provvederà alla disinfezione della cavità, riapplicando immediatamente la protesi poiché la cavità anoftalmica, lasciata vuota anche per pochi giorni, si restringe in misura sensibile. Ricordiamo, comunque, che la protesi in resina acrilica presenta una superficie liscia anche dopo molto tempo e che è estremamente facile da pulire: è sufficiente imbibire un fazzoletto di cotone con un poco di soluzione fisiologica sterile e premere ripetutamente sulla superficie anteriore della protesi, in modo da far uscire la secrezione eventualmente accumulatasi dietro di essa. Questa operazione, ripetuta due o tre volte al giorno, dà sufficienti garanzie di igiene e comfort.
Chirurgia e Motilità Della protesi
Secondo il parere tecnico del protesista è da preferirsi l’intervento più conservativo possibile; se l’Oftalmologo può eviscerare il bulbo inserendo un’endoprotesi, il tecnico può costruire una protesi molto sottile simile ad una lente sclerale; ciò permette di sfruttare gran parte dei movimenti propri del bulbo originale che trascinerà con se la protesi applicata su di esso.
Non essendo sempre possibile questo tipo di intervento, spesso si opta per l’enucleazione semplice; se a ciò si aggiunge che i pazienti attendono alcune settimane prima di applicare la protesi appare chiaro che il protesista si trova spesso a lavorare su cavità già in fase di retrazione, rimpiccolite e con fornici ridotti. Il protesista si trova allora nell’impossibilità di realizzare una protesi soddisfacente e nella più fortunata delle ipotesi riuscirà a recuperare il volume cavitario solo parzialmente e dopo ripetute modifiche, aumentando il disagio del paziente in termini di tempo.
Per il protesista, dunque, è di fondamentale importanza ricevere il paziente con la cavità anoftalmica già predisposta dall’Oftalmologo in modo che sia salvaguardato il maggior spazio possibile, anche con la semplice applicazione di un conformatore post-operatorio.
Nel caso si decida di enucleare un paziente senza applicare nessun impianto e nessun conformatore, è buona norma avvisarlo che non dovrà attendere molto tempo prima di applicare la protesi estetica; molti pazienti hanno pregiudicato le possibilità di avere una buona applicazione solo perché non erano a conoscenza dei danni che può provocare la retrazione cavitaria se non affrontata in tempo.
Il programma di applicazione per una cavità con impianto endoprotesico si svolge in diverse sedute (4 o 5 per un individuo adulto) che comprende il controllo e l’eventuale perfezionamento dell’applicazione fino a sei mesi dopo la consegna.
Il Conformatore
Il conformatore non è altro che una protesi di colore neutro e dalla forma ovoidale, idonea al solo mantenimento dello spazio ed al corretto tensionamento delle palpebre in attesa dell’applicazione della protesi su misura. La sua applicazione è sufficiente per mantenere l’ampiezza della cavità per molte settimane, facilitando il lavoro del protesista; possiamo produrre conformatori di tutte le dimensioni e forme, con foro centrale per consentire l’instillazione di colliri o pomate; è possibile inoltre confezionare speciali conformatori con aletta elevatrice per palpebre ptosiche. L’applicazione può avvenire già pochi giorni dopo l’intervento, terminato il sanguinamento delle suture.
L’importanza dell’applicazione del conformatore è legata al tipo di intervento eseguito; generalmente è tanto più importante quanto più è demolitivo e radicale l’intervento stesso. In linea di massima si può affermare che il conformatore è indispensabile dopo un’enucleazione, soprattutto in soggetti che già naturalmente presentano un enoftalmo (solco tarsale) pronunciato.
Complicazioni Post-Intervento
In conseguenza ad interventi di enucleazione od eviscerazione con inserimento di impianti di vario tipo, può verificarsi la cosiddetta “migrazione” od espulsione dell’impianto medesimo; si tratta della complicazione più comune e può essere causata da molti fattori, anche in concomitanza tra essi.
L’espulsione può avvenire con o senza esposizione dell’impianto verso l’esterno; le espulsioni interne sono quelle all’interno della cavità anoftalmica ma non esposte; le espulsioni esterne, invece, sono quelle che in qualche misura presentano esposizione visibile.
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