Louis Braille: una Vita per i Non Vedenti

Milioni di ciechi sparsi nel mondo debbono la possibilità di apprendere le più diverse discipline e la conseguente opportunità di crearsi una cultura al sistema di scrittura Braille.

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Con esso, che sostituisce combinazioni di non più di sei punti all’alfabeto comune in rilievo, meno percepibile al tatto, Louis Braille introdusse un rinnovamento radicale e di importanza più che evidente, nell’educazione dei privi della vista.

Louis Braille nasce a Coupvray nel 1809, presso il Dipartimento della Senna e Marna, nella famiglia di un modesto sellaio. Quartogenito, Louis è accolto con gioia. “Sarà il bastone della mia vecchiaia”, dice il padre appena glielo mostrano. Il bimbo cresce gracile e comincia a camminare relativamente tardi. Lo stanzone al pianterreno, con il focolare e il pentolone della minestra appeso al gancio sotto il camino, non appagano più la sua curiosità. Ad appena tre anni il piccino parte alla conquista del mondo, che resta l’umile casa in cui è nato. “Louis, non toccare il deschetto da lavoro!” Vana raccomandazione!
Durante l’assenza dei genitori, il bimbo si impadronisce furtivamente degli utensili da sellaio. Il cuoio emana un buon odore quando lo si taglia. Ma ecco che a un tratto un pezzo di ferro appuntito o forse il trincetto stesso, usato maldestramente, colpisce un occhio del bambino. Louis urla per il dolore. Ha il volto inondato di sangue.

I genitori accorrono terrorizzati e si rendono ben presto conto della gravità dell’incidente. Il bambino ormai è orbo da un occhio. Il rimedio che una donna reca ai genitori del piccino risulta inutile. Subentra anche una congiuntivite. Il male s’aggrava ancora: un’oftalmia purulenta colpisce pure l’altro occhio. “Sento gli uccelli e non li vedo più: perché, mamma, mi tieni al buio?”.

Le due cornee sono distrutte. Louis è cieco, irrimediabilmente. Ora ha cinque anni e non vive più che nel mondo dei suoni. E cresce, cresce gracile sempre, nella miseria. “Che sarà di questo bimbo?”, pensa papà Braille. L’abate Palluy e il maestro, Becheret, hanno notato la vivace intelligenza del fanciullo e si sono affezionati a lui. Il castellano del luogo, il marchese d’Orvilliers, si interessa anch’egli a Louis, il quale viene affidato alla Regia Istituzione dei Giovani Ciechi sorta a Parigi per interesse del benefattore Valentin Hauy.

Il bambino nel febbraio 1819 entra, beneficiario di una borsa di studio, nell’ex seminario di Saint Firmin, divenuto collegio per ciechi. L’edificio è dei più malsani, umidi e freddi della capitale. Ma che importa ciò a Louis quando vi scopre la gioia dello studio? Grammatica, storia, matematica sono le materie che più lo appassionano.

Il metodi di scrittura di Valentin Hauy era allora l’unico in vigore in quella scuola. Quanti volumi erano necessari però per contenere il più modesto manuale scolastico! Dopo aver fabbricato, all’inizio, delle lettere di legno, Valentin Hauy aveva in seguito fissato su del cartone caratteri ordinari stampati in rilievo che formavano, dunque, delle sporgenze rilevabili al tatto.

Facili a leggersi per i vedenti, erano invece difficili da distinguere per mezzo dei polpastrelli delle dita; d’altra parte erano molto ingombranti e la loro composizione richiedeva parecchio tempo. Malgrado questi inconvenienti, l’invenzione apriva la via alla lettura mediante il tatto. 

Nella scuola circolava la seguente storia sul primo allievo di Valentin Hauy: interessato a sperimentare il suo metodo, il benefattore aveva tolto dalla strada un giovane cieco che viveva e faceva vivere la sua famiglia di elemosina dinanzi al portone di una chiesa . Hauy desiderava che il disgraziato ragazzo traesse vantaggio della sua invenzione. Ma la cosa non piacque affatto ai genitori del cieco, i quali convennero fra di loro che il mestiere di studente non valeva quello di mendicante e il maestro dovette così sborsare al padre del giovane quanto questi solitamente raggranellava ogni giorno elemosinando dinanzi alla porta della chiesa. Altrimenti avrebbe perso il suo unico allievo. 

Sia pur col più grande rispetto per il vecchio maestro, Louis ne critica i i metodi superati e ben presto si accinge a tentare egli stesso di perfezionarli. In attesa di giungere a una concreta realizzazione, egli continua ad assimilare con avidità tutto ciò che gli viene insegnato. La musica lo attrae particolarmente. Egli è in grado di apprenderla ad orecchio. Ma è un altro errore da correggere, problema cui pure si dedicherà in avvenire. Infatti riuscirà dopo qualche anno a scoprire un sistema di notazione musicale adatto per i ciechi. Si occuperà innanzitutto del canto fermo, trascriverà in seguito dei metodi facili e arriverà fino alle opere più complicate.

Louis impara a suonare il piano, il flauto, il fagotto e l’organo. La disciplina è severa all’Istituto. Il disastroso bilancio del collegio esige economie di personale e, mancando sorveglianti, sono le punizioni a mantenere la disciplina fra gli allievi.

La cella è un nonsenso per dei ciechi, perciò quelli più turbolenti sono messi a pane e acqua e altre gravi punizioni vengono loro inflitte con una certa facilità. In questo ambiente Louis intristisce sempre di più. Ma un grande avvenimento si preannuncia e crea un’attesa febbrile fra i ricoverati: nell’agosto del 1821 viene festosamente accolto all’istituto in visita ufficiale, Valentin Hauy. Agli allievi che lo acclamano, egli risponde: “E’ Dio che ha fatto tutto questo per voi!” Egli non sa che fra le mani dei fanciulli che egli stringe ci sono quelle di colui che gli succederà negli studi e nelle ricerche di nuovi metodi per la scrittura per i ciechi.

Un giorno, un capitano d’artiglieria, Charles Barbier de la Serre, chiede di sottoporre all’esame dell’istituto un nuovo metodo. Il direttore, il dottor Pignier, s’interessa appassionatamente ai suoi allievi e non intende trascurare niente che possa migliorare la loro sorte. All’Accademia delle Scienze, Prony e Lacepede hanno esaminato l’invenzione. “Questo procedimento – concludono essi – rende possibile la comunicazione fra i sordi e fra i ciechi”.

L’ingegnoso capitano aveva creato il suo sistema per l’esercito. Varie volte si era trovato in difficoltà, la notte, nel leggere i messaggi che gli pervenivano al fronte. Aveva pensato allora alla scrittura in rilievo. Segni convenzionali, fatti di punti e di tratti rilevati, permettevano di prendere conoscenza coi polpastrelli delle dita di ordini quali: “Marcia in avanti”, “Ritirata generale”, ecc.

Arrivata la pace, Barbier pensa ai ciechi, ai quali la “scrittura notturna” sarebbe utile. Essa permette senza preoccuparsi dell’ortografia, di trascrivere qualsiasi frase con l’ausilio di una stecca scorrevole forata. Attraverso questa sorta di graticola per cifrare, il cieco può forare con un punteruolo una grossa carta, formando così dei punti rilevati, che, disposti l’uno accanto all’altro secondo un sistema convenzionale, costituiscono delle parole.

Il sistema è rivoluzionario. All’Istituto ci si entusiasma e il dottor Pignier decide di adottarlo “come metodo accessorio di insegnamento”. Niente ortografia, abbiamo detto, né punteggiatura, né cifre, né segni musicali. Louis Braille sottolinea queste lacune e cerca di porvi rimedio, semplificando il procedimento. Pignier invita Barbier a venire a esaminare le modifiche apportate all’invenzione dal suo allievo.

Nell’ufficio del direttore, il ragazzo quindicenne affronta il veterano di guerra cinquantenne e gli espone chiaramente le sue idee. Barbier non si lascia convincere da quell’adolescente biondo e fragile, il quale, del resto, non insiste.
Più tardi, l’uno e l’altro riconosceranno i rispettivi meriti: “è al procedimento di Barbier che noi dobbiamo la prima idea del nostro metodo”, scriverà Braille.

Quanto a Barbier, dopo aver ricevuto un premio dall’Istituto per la sua “scrittura notturna”, rende omaggio al suo concorrente imberbe: “è Louis Braille, allievo dell’Istituto dei Giovani Ciechi, che per primo ha avuto la felice idea di ridurre a una stecca rigata con tre linee lo strumento per la scrittura punteggiata. I caratteri così formati occupano meno spazio e sono più facili a leggersi. Considerato questo duplice risultato è da sottolineare che Braille ha reso ai ciechi un servizio essenziale”.

Pur dedicandosi allo studio delle materie insegnate nella scuola, Louis dedica tutto il suo tempo libero a questa scrittura per ciechi, che diventerà lo scopo della sua vita. Nel miglioramento del suo metodo, Braille fa enormi progressi e Pignier ne è entusiasta, tanto che decide di adottare il sistema del suo allievo nella scuola, sia pur in forma ufficiosa. Infatti, il metodo Valentin Hauy, quantunque superato è considerato obbligatorio e bisogna continuare ad insegnarlo.

Louis ha inventato 63 combinazioni che rappresentano lettere dell’alfabeto, accenti, cifre, segni matematici e d’interpunzione. Egli aveva ottenuto questo risultato riducendo l’invenzione di Barbier a due file di punti forati in senso verticale, completati da tratti orizzontali, che in seguito avrebbe soppresso. Le 63 combinazioni erano ottenute variando il numero e le posizioni di questi punti e di questi tratti.

Grazie a questo perfezionamento, per i ciechi l’orizzonte si schiarisce. Essi possono prendere delle annotazioni, trascrivere dei libri sotto dettatura dei vedenti, corrispondere tra di loro. È un mondo nuovo che si apre. All’Istituto i meriti di Braille vengono riconosciuti da tutti. A vent’anni egli è nominato istitutore. I vantaggi però che gliene derivano sono minimi: una camera separata, ove può raccogliersi e lavorare, e le palmette d’oro e di seta sull’uniforme nera abituale. A parte ciò, il regime non è mutato: le visite e le uscite sono controllate, le lettere vengono lette, le punizioni rimangono in vigore.

Pignier vuole distrarre il suo allievo e lo invita a casa sua. Lo conduce a una serie di serate. Ma quel parlottare mondano attorno ad un buffet lo annoia! Gli si chiede di mettersi al piano: è il solo bel momento. Con Beethoven, Mozart, Haydn, si trova a suo agio. Ma egli preferisce ancora la sua cameretta, ove prosegue le sue ricerche su un sistema di notazione musicale e i suoi studi su un trattato di aritmetica.

La sua nomina a organista di Notre Dame des Champs lo entusiasma, ma uno scrupolo nondimeno lo tormenta: assistere alla messa suonando l’organo non è per quel mistico una partecipazione sufficiente e perciò egli si sforza di dominare la sua tecnica fino al punto di dimenticarla e di poter quindi seguire l’ufficio divino con tutta la sua attenzione.

Egli ama il suo lavoro d’insegnante, quantunque la sua stanchezza vada aumentando sempre più. Vuole ignorarla, ma un giorno un’emorragia gli rivela quanto tenue sia ormai il filo che lo tiene legato alla vita. Gli vengono affidate le inferiori, meno faticose delle superiori, gli viene prescritta la superalimentazione. Ma non sono, questi, che degli inutili palliativi a un male che non perdona.

La sua gaiezza, comunque, non viene intaccata, anche se egli si sente condannato. Nuove ricerche lo appassionano. Inventa una macchina che permette ai ciechi di scrivere esclusivamente per i vedenti, senza che costoro si addestrino preventivamente a questo tipo di lettura. È il “rafigrafo”. Invenzione troppo complicata per essere largamente sfruttata. In seguito, la macchina per scrivere getterà un ponte fra i ciechi e i vedenti, ma è un ponte a senso unico.

Per una serie di intrighi, Pignier è sostituito alla direzione da Dufau, un personaggio pomposo e gretto, che vuole ignorare Braille e le sue scoperte. Ma gli allievi apprendono di nascosto il metodo di Louis. E fioccano così punizioni per i “colpevoli”. Sono anni penosi, questi, che terminano soltanto quando a Dufau si aggiunge un vicedirettore comprensivo che, con la sua influenza, pone rimedio a quell’andazzo.

Per i vedenti, la scrittura di Valentin Hauy è leggibile a vista, senza che vi sia per essi la necessità di apprendere alcunché, mentre per i ciechi essa è difficile a decifrarsi al tatto. Questa differenza di punti di vista spiega i malintesi e il tempo impiegato a far prevalere ufficialmente il metodo Braille.

Intanto, il collegio ottiene una nuova sede, al 56 di boulevard des Invalides, ove si trova tuttora. Il nuovo istituto viene inaugurato con solennità il 22 febbraio 1844. Davanti a un pubblico entusiasta vengono svolte delle prove di lettura e di scrittura secondo il metodo a punti rilevati di Braille.

Le favorevoli condizioni igieniche di nuovi ambienti non potrebbero però guarire un tubercoloso con il male in fase avanzata! Dal 1835 le sue condizioni non sono state altro che un alternarsi di recessioni e di crisi. Ormai la morte per Braille è vicina. Egli lo sa e accetta questa realtà con serenità cristiana, non però senza rincrescimento per la vita che sta per lasciare. A un amico che gli fa visita dopo che egli ha ricevuto i sacramenti confida: “Dio si è degnato di far brillare nei miei occhi lo splendore delle eterne speranze. Dopo tutto ciò, sembra che niente debba più tenermi avvinto a questa terra. Ebbene, io chiedevo a Dio di togliermi da questo mondo, ma sento che non glielo chiedevo con sufficiente forza”.

Quindici giorni dopo, Louis Braille si spegne, pianto da tutti. Parte come ha vissuto, senza clamori. Nessun giornalista parla di lui. Chi potrebbe interessarsi a quel povero cieco? La candidatura alla presidenza di Alfred de Musset è un tema più avvincente per un articolo.

Ora, l’universalità del metodo Braille è riconosciuta. L’Unesco, dal 1949, organizza la sua diffusione nel mondo intero. Per non citare che una sola cifra, esso è esteso a ben 800 fra lingue ufficiali e dialetti.