Daltonismo: cause, diagnosi e possibili cure per il deficit di visione dei colori

Spesso giudicato un problema minore, a volte addirittura oggetto di barzellette, il daltonismo è invece un’anomalia della visione cromatica di importanza non trascurabile. La persona daltonica soffre infatti di una cecità parziale o totale ai tre colori primari: il verde (si parla allora di deuteranopia), il rosso (protanopia) e il blu (tritanopia). Non si tratta dunque di una cecità totale ai colori; il daltonico, per intendersi, non vede il mondo in bianco e nero o in una scala di grigi, ma, a seconda che sia affetto da un deficit di visione di tutti e tre i colori primari o solo di uno, ha una visione monocromatica o bicromatica della realtà.

 

Le cause del daltonismo

La causa del daltonismo è principalmente genetica.
Le persone daltoniche soffrono infatti di un’alterazione ereditaria dei coni, ossia i fotorecettori presenti sulla retina. I coni sono raggruppabili in tre diverse tipologie, sensibili al rosso, al verde e al blu; nelle persone con capacità visiva normale funzionano tutti e tre, nelle persone daltoniche funzionano solo due su tre.

In misura molto minore il daltonismo può essere generato da malattie occorse indipendentemente dalla predisposizione genetica: le persone affette da cataratta (cioè la progressiva perdita della trasparenza del cristallino) possono percepire un’alterazione dei colori blu e giallo così come chi soffre di maculopatie od otticopatie.
Anche un trauma cranico può portare ad un’alterazione della sensibilità ai colori.

Test per la diagnosi del daltonismo

Il daltonismo è stato descritto scientificamente per la prima volta dal chimico inglese John Dalton, anche egli affetto da cecità cromatica. Prima del 1794, anno della pubblicazione del suo studio intitolato “Extraordinary facts relating to the vision of colours” (“Fatti straordinari legati alla visione dei colori”), la patologia non era stata classificata.

Più di 100 anni dopo, nel 1917, il medico oftalmologo giapponese Shinobu Ishihara mette a punto il più noto test di valutazione della cecità al colore. L’esame cromatico consiste nella somministrazione al paziente presunto daltonico di una serie di tavole colorate e puntinate su ognuna delle quali è scritto un numero: un soggetto normale legge il numero corretto, un soggetto con alterazioni retinali legge il numero sbagliato o addirittura non riesce a percepire nulla.
Le tavole di Ishihara sono ancora oggi utilizzate dalla maggior parte degli optometristi e oculisti di tutto il mondo per la diagnosi del daltonismo.

Per un esame clinico più approfondito viene anche utilizzato il test di Farnsworth: al paziente viene mostrata una serie di dischetti colorati (100 nella versione completa) che deve essere allineata in sequenza tonale.

In rete esistono numerosi altri test di maggiore o minore validità scientifica per autodiagnosticare il daltonismo, ma solo un’approfondita visita medico oculistica può confermare l’esistenza del problema.

Il daltonismo si può curare?

Nelle sue diverse forme il daltonismo ha un’incidenza del circa 4-8% fra la popolazione maschile e dell’1% fra la popolazione femminile.
La maggiore incidenza fra gli uomini è dovuta proprio al fatto che si tratta di una malattia genetica. Gli individui di sesso maschile hanno infatti un solo cromosoma X, mentre le donne ne hanno due; se dunque le donne ereditano dal patrimonio genetico dei propri genitori un cromosoma X normale oltre a quello mutato, non mostreranno la mutazione, mentre fra gli uomini sarà necessariamente evidente.

Non esistono al momento cure specifiche per il daltonismo. Tuttavia nel 2009 un articolo pubblicato on line sul sito della rivista Nature ha suscitato molta attenzione.
L’articolo riportava infatti i risultati di un gruppo di ricerca dell’University of Washington di Seattle (USA): grazie alla terapia genica, una metodologia che consente di correggere il difetto genetico mediante l’inserzione nella persona malata di una copia del gene funzionante, Jay Neitz e Maureen Neitz, docenti all’Università di Washington e coautori dello studio, riuscirono nell’impresa di correggere il daltonismo in alcune scimmie, precedentemente addestrate a riconoscere e distinguere i diversi colori.

Ad oggi la ricerca prosegue sulla base di questi primi studi ed è volta a determinare se la terapia genica è applicabile anche all’essere umano senza rischi e complicanze.

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Un quesito posto frequentemente da datori di lavoro e se una persona affetta da daltonismo può lavorare al videoterminale (VDT). Ricordiamo che il daltonismo è genericamente definito come l’impossibilità di percepire i colori in modo normale. Sarà ad esclusiva cura del medico competente (esistente in quanto trattasi di persona esposta a VDT) a dare giudizio di idoneità (totale o parziale), dopo attenta valutazione di compatibilità del disturbo in questione con l’attività operativa del soggetto. Sarebbe ad esempio molto pericoloso consentire ad un daltonico l’operatività su terminali attivi (per esempio quadri di manovra su impianti o macchinari) ove è indispensabile distinguere la diversità dei colori dei segnali rappresentati sullo schermo. Lo stesso giudizio dovrà essere operato anche dal datore di lavoro, anche nel caso se si tratti di persona non esposta, cioè con meno di 20 ore totali settimanali al VDT.