Dizionarietto di Oculoprotesica – Parte Prima

I termini patologico – anatomici più utilizzati nell’attività oculoprotesica.

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Biocompatibile: costruito in materiale compatibile con i tessuti umani, che non produce cioè rigetto o reazioni allergiche dell’organismo.

Blefarostato: nella protesica oculare, consiste in una coppia di alette fisse o separabili applicate sulla protesi oculare in modo da riprodurre due supporti per le palpebre. Lo scopo del blefarostato è quello di allargare progressivamente la rima palpebrale esercitando una modica ma costante pressione su di esse e rieducare le palpebre stesse al ripristino della posizione originaria. E’ utilizzato in tutte le applicazioni protesiche dove sono compromesse le dimensioni e i movimenti delle palpebre o l’ampiezza della rima palpebrale o ancora dove è presente una forte retrazione degli annessi oculari in seguito ad anoftalmo congenito, terapia irradiante, ecc

Conformatore: protesi provvisoria generalmente bianca (senza iride e vene dipinte) che si applica subito dopo l’enucleazione allo scopo di evitare la retrazione della cavità e mantenere in esercizio le palpebre. Il conformatore ha forma ovoidale, idonea al solo mantenimento dello spazio ed al corretto tensionamento delle palpebre in attesa dell’applicazione della protesi su misura. La sua applicazione è sufficiente per mantenere l’ampiezza della cavità per molte settimane, facilitando il lavoro del protesista; esistono conformatori di tutte le dimensioni e forme, con foro centrale per consentire l’instillazione di colliri o pomate; è possibile inoltre confezionare speciali conformatori con aletta elevatrice per palpebre ptosiche. L’applicazione può avvenire anche immediatamente dopo l’intervento. L’importanza dell’applicazione del conformatore è legata al tipo di intervento eseguito; generalmente è tanto più importante quanto più è demolitivo e radicale l’intervento stesso. In linea di massima si può affermare che il conformatore è indispensabile dopo un’enucleazione, soprattutto in soggetti che già naturalmente presentano un enoftalmo (solco tarsale) pronunciato.

Conformatore compressivo: utilizzato tramite apposito bendaggio, sfrutta una forza applicata dall’esterno per favorire la ritenzione della protesi nelle cavità dove è richiesta maggior capacità contenitiva oppure dove si deve aumentare la dimensione dei fornici.

Diottro: lente che consenta la visione corretta in presenza di una qualsiasi ametropia. Si intende per “guscio diottrato” un guscio di ricoprimento utilizzato non solo per fini estetici ma anche per consentire la visione ad un bulbo che ne ha ancora la capacità.

Epitesi: protesi ricostruttiva di vasta parte del viso. Può interessare dell’intera orbita e le palpebre oppure il padiglione auricolare o la piramide nasale.

Fori antiventosa: perforazioni della zona perilimbare del guscio di ricoprimento che hanno la funzione di permettere il passaggio dell’aria dall’esterno della protesi in modo da evitare un’aderenza eccessiva al bulbo (effetto “ventosa”) che a lungo andare provocherebbero fenomeni di anossia corneale (se la cornea è ancora presente) o di iperemia, pregiudicando la tollerabilità della protesi stessa.

Guscio: nome gergale della protesi utilizzata per ricoprire bulbi atrofici che hanno perso la funzione visiva in seguito a patologie o fatti accidentali. Il guscio si distingue dalla protesi vera e propria poiché il suo spessore è molto più sottile, in considerazione del fatto che deve essere applicato su un bulbo che spesso mantiene uno spessore non trascurabile. Molto spesso, inoltre, anche i bulbi atrofici hanno una spiccata sensibilità che impone al protesista di realizzare il guscio di ricoprimento con una geometria tale da evitare il contatto con le parti più sensibili del bulbo.

Idrossiapatite: biomateriale microporoso di origine corallina oppure riprodotto sinteticamente, molto simile alla composizione minerale dell’osso umano. E’ totalmente colonizzabile dal tessuto fibrovascolare che lo invade dopo l’inserimento endosclerale e si integra perfettamente con i tessuti umani non essendo riconosciuto dall’organismo come corpo estraneo. E’ utilizzato per la fabbricazione di protesi in varie branche della chirurgia.

Impianto: (endoprotesi) protesi in materiale biocompatibile che permette alla protesi oculare di muoversi maggiormente. Questo impianto viene di norma applicato in sala operatoria dagli stessi chirurghi che hanno proceduto all’enucleazione o all’eviscerazione e serve anche per ripristinare una parte del volume orbitario perduto a causa dell’asportazione di materiale durante l’enucleazione.

Impianto avascolare: impianto orbitale che non permette la penetrazione dei vasi sanguigni. Di norma è incapsulato nel tessuto fibroso (capsula di Tenone).

Impianto biocompatibile: impianto poroso che permette l’infiltrazione e la proliferazione dei tessuti all’interno di esso.

Impianto di Allen: impianto integrato, generalmente in PMMA, al quale vengono ancorati i quattro muscoli retti che ne permettono il trascinamento. Dà un movimento soddisfacente ma presenta un elevato rischio di espulsione soprattutto se la protesi oculare applicata su di esso non è realizzata in modo adeguato e provoca eccessivo traumatismo sui tessuti di ricoprimento dell’impianto stesso.

Impianto dermograssoso: impianto consigliato in quei casi dove altri tipi di endoprotesi hanno provocato estrusione od altre complicazioni. Il materiale dermograssoso è di norma prelevato dalla regione addominale o dal gluteo. Il limite principale di questo impianto sta nella perdita progressiva del suo volume nel tempo.

Impianto esposto: Impianto che ha perforato i tessuti che lo ricoprono ed è esposto, cioè visibile all’esaminatore. E’ la prima fase dell’estrusione.

Impianto in idrossiapatite: sfera in idrossiapatite che viene inserita all’interno della sclera originaria del paziente, quando possibile, oppure in una sclera di donatore e fissata ai muscoli retti del bulbo enucleato. La fibrovascolarizzazione dell’impianto permette di limitare i rischi di migrazione ed estrusione e rende l’impianto molto più stabile nel tempo.

Impianto in silicone: sfera di silicone di basso costo e di facile utilizzo. Utilizzata da molti anni in chirurgia oftalmica ha come limite principale la tendenza a venire espulsa anche dopo molti anni dall’intervento. In questi casi si deve procedere con un reimpianto in idrossiapatite o dermograssoso.

Impianto integrato: Impianto associato ai movimenti oculari, che permette cioè di trasmettere il movimento alla protesi estetica per mezzo dei muscoli retti.

Inerte: così viene definito un materiale quando a contatto con i tessuti umani non provoca reazioni allergiche, fenomeni di sensibilizzazione, intollerabilità o addirittura rigetto ma è ben tollerato dall’organismo e non varia la sua struttura chimico-fisica a contatto con i tessuti umani.

Endoprotesi: vedi “Impianto”.

Ocularista: (o protesista) costruttore ed applicatore di protesi oculari.

PMMA: (polimetilmetacrilato) materiale plastico generalmente trasparente utilizzato per la costruzione di lenti a contatto rigide, gusci, endoprotesi, ecc. E’ facilmente lavorabile ed è ben tollerato dall’organismo.

Polimerizzazione: processo chimico tra un polimero in polvere ed un monomero liquido che produce una sostanza definita “resina acrilica”, materia base per la realizzazione di una protesi oculare. La polimerizzazione può essere termica o a freddo.

Polimetilmetacrilato: vedi PMMA.

Protesi in resina: La protesi in resina acrilica deve la sua posizione predominante nel campo protesico al fatto che, tra tutti i materiali artificiali oggi disponibili, è quello che meglio corrisponde ai requisiti richiesti per la fabbricazione di una protesi:

  1. Tollerabilità ai tessuti
  2. Facilita di lavorazione
  3. Perfetta modellabilità
  4. Ripetibilità del modello
  5. Stabilita della forma
  6. Inattaccabilità a secrezioni e liquido lacrimale
  7. Facilità di pulizia
  8. Infrangibilità
  9. Indelebilità dei colori
  10. Aspetto vetroso, simile al cristallo

La protesi in resina acrilica, a differenza di quella in cristallo e a discrezione del Medico, può non essere tolta dalla cavità neppure durante il sonno; le operazioni di pulizia quotidiana possono essere svolte con la protesi applicata. Questo evita che le palpebre vengano eccessivamente sollecitate da continui inserimenti e rimozioni, ovviando anche al disagio psicologico del paziente che non deve più maneggiare la protesi. L’aspetto negativo di questo tipo di protesi, cioè il maggior costo, è in realtà puramente teorico; esiste una differenza a sfavore del materiale acrilico ma questa è largamente compensata dal fatto che la protesi in resina è praticamente indistruttibile e non si usura mai.

Protesi in vetro: Le protesi oculari costruite prima del secondo conflitto mondiale erano costruite in vetro. L’usura di questo materiale creava però notevoli problemi estetici e di tollerabilità. Nonostante diversi miglioramenti nella produzione di questi prodotti, le protesi in vetro hanno mantenuto anche oggi gran parte delle loro proprietà negative:

  1. Usura del materiale: può provocare fastidiose irritazioni e comunque, peggiora gradualmente l’aspetto estetico (In alcuni casi si è verificata la rottura della protesi dentro la cavità).
  2. Breve vita della protesi: è la conseguenza della facile usura ed obbliga il paziente alla sostituzione ogni 12/24 mesi al massimo.
  3. Bassa resistenza agli urti: è sufficiente la semplice caduta della protesi per causare la sua rottura.
  4. Scarsa lavorabilità del materiale: impedisce al protesista di modificare, se necessario, la forma della protesi in base alle caratteristiche anatomico – morfologiche o allo sviluppo del paziente. Occorre sottolineare che la diffusione delle protesi oculari in vetro è dovuta soprattutto al basso costo anche se le frequenti sostituzioni obbligano il portatore a spese continue.

Protetizzazione: atto del confezionare ed applicare una protesi.

PTFE: (politetrafluoretilene) foglio di materiale inerte utilizzato in diverse branche della chirurgia. In oftalmologia è usato come tunica di ricoprimento dell’endoprotesi Ophtimplant. Il PTFE è uno dei polimeri in vivo più stabili e non degenera. La matrice soffice microporosa è formata da canali che attraversano interamente il suo “foglio” di 1 mm di spessore. Ricoprire gli impianti oculari con PTFE presenta molti vantaggi.

Dato che lo strato soffice di PTFE facilita la sutura dei muscoli all’impianto e il materiale microporoso permette la proliferazione fibroblastica, l’impianto è meno incline alla migrazione ed all’eccessiva pressione sui tessuti di ricoprimento. Una capsula sottile si forma spontaneamente attorno all’impianto biocompatibile mostrando una reazione minima da parte dei tessuti verso il PTFE. Tutti i fattori sopra descritti contribuiscono ad assicurare il posizionamento dell’impianto senza peraltro premere sull’impianto stesso oppure producendo forze che portino all’espulsione. Con il tempo la capsula può aumentare di spessore. Il tessuto di nuova formazione costituirà una ulteriore barriera all’espulsione. Essendo radio-trasparente, una eventuale recidiva del tumore non verrà nascosta.

Radiopaco: corpo che può essere rilevato tramite lastra radiologica. Esistono alcuni materiali che non sono radiopachi e perciò non sono visibili ai raggi X.

Resina acrilica: sostanza inerte ed infrangibile utilizzata per la realizzazione delle protesi oculari. E’ ben tollerata dall’organismo se la polimerizzazione viene eseguita con cura.

in collaborazione con www.dalpasso.it