Non Ti Muovere, Ma a Chi? – 19

“Non ti muovere”, ma a chi?

Vorrei focalizzare l’attenzione sull’espressione temporale della bellezza; la bellezza è anche in un tempo, l’emozione è anche in un tempo, la vita è anche in un tempo.

Il tempo della bellezza, della scelta per la bellezza è oggi o, come diceva una canzone di Claudio Baglioni, “è adesso” L’aiuto per affrontare questo argomento mai esaurito, mai dimenticato; argomento che rende inquieto il cuore dell’uomo per tutta la sua vita, mi viene da un romanzo bellissimo da cui è stato tratto un film di grande qualità.

Il titolo del libro è: “Non ti muovere”, scritto da Margaret Mazzantini a mio parere un’opera di grande spessore. Forse leggere il libro o vedere il film può anche essere rischioso. Il pericolo può venire da una lettura poco ancorata all’idea del bello che attrae, al bello intimamente legato all’esistenza di ogni uomo, alla ricerca del bello lungo tutto il percorso della vita; al bello come tensione costante alla realizzazione della nostra esistenza.

La storia del protagonista è autodistruttiva, tutti i suoi legami subiscono violenza fisica e psicologica; gli affetti vengono sottoposti ad una fortissima tensione, che è la sua tensione; che non conosce pause di tempo né cali di intensità.

L’autore ha uno stile di scrittura che coinvolge completamente il lettore; tutte le parole sono semplici, legate tra loro in frasi che conducono in un clima che rende visibili immagini, situazioni e persino odori e rumori. È un’opera ricca fin nel più minuto dettaglio.

Il lettore è afferrato e tirato tra le pagine in una vita irrequieta, quella di Timoteo, vissuta fin dall’inizio in una corsa sfrenata e senza soste. Timoteo non ha pensato mai all’esigenza, che ogni uomo ha, di fermarsi in compagnia e in ascolto di se stesso.

Parlerò prevalentemente di lui perché è il cieco dal cuore tormentato, un cieco che cerca la verità con la convinzione che la verità non esista; cerca quella verità che è accessibile solo a chi ha il cuore umile… e chi ha il cuore umile? Certamente Timoteo il cuore umile non ce l’ha.

Timoteo avverte l’urto della bellezza, per una circostanza imprevista (l’imprevisto, e la risposta ad esso, è l’evento che spesso determina la nostra vita), incontra l’amore. Timoteo non sa (come tanti di noi) cosa sia l’amore, non sa interpretare quello che vede; egli vede, nella persona che incontra, uno spettacolo addirittura estremamente sgradevole; la descrive così: “La testa di spaventapasseri, le sue gambe sottili e storte… il suo non era un corpo desiderabile, anzi appariva inospitale”. Timoteo è, a dispetto di ogni regola mondana, irresistibilmente attratto da quella visione.

Timoteo non vede proprio bene, dovrebbe essere pienamente appagato dalla sua condizione di vita; decidendo secondo i suoi parametri di perfetta realizzazione ha raggiunto il top della carriera divenendo (lui che ha sempre avuto paura del sangue) primario chirurgo, ha sposato una bella e affermata giornalista (una donna che sa di non aver mai amato); dal matrimonio è nata una bambina a cui ha sempre pensato come fosse un maschio.

Anche sotto la voce amicizia non troviamo niente; non ha confidenza con nessuno perché non ha confidenza con se stesso.

Timoteo vive intensamente se stesso in un rapporto totalmente contraddittorio, attratto da una donna dall’apparenza fortemente sgradevole, priva di istruzione, poverissima che vive in compagnia di un vecchio cane cieco, in una catapecchia circondata da alte costruzioni in cemento mai finite ma già abusivamente occupate.

Il quadro che riguarda Italia è tra i più desolanti, si può guardare ovunque e con qualunque strumento ottico, non le si trova la sia pur minima traccia di bellezza o di armonia.

Timoteo non riesce a capire che cosa lo trascini verso Italia. Cieco com’è, risponde a colei che lo attrae con l’unico strumento che possiede davvero, vale a dire una sessualità violenta e repressa. Non si tratta di una sessualità animalesca, bensì di una sessualità propria dell’uomo che non conosce altro modo di rispondere all’attrattiva che l’abbandono totale alla sua istintività nelle sue forme più basse e abbrutenti.

Ad un certo punto del racconto, il cuore di Timoteo inizia a pulsare; la sofferenza della sua drammatica e grigia esistenza diviene atroce; un terremoto lo sconvolge coinvolgendo tutta la sua vita: dal lavoro alle relazioni, fino a chiedersi a cosa gli serve la sua famiglia. Il termine di valutazione della realtà di Timoteo è utilitaristico.

Lo scuotimento a cui è sottoposto è violento, esso lo aiuta, anzi lo costringe a guardarsi; lo obbliga a stare con se stesso, a cercare di capire che cosa conta davvero nella sua vita, che cosa vale la vita, la sua vita.

Non ti muovere, quando la bellezza è lì ed è viva, quando la bellezza la potresti perdere. Non ti muovere quando il valore viene intaccato dalla paura di restare privo di ciò che crediamo ci appartenga di diritto, mentre quello che davvero ci appartiene è un regalo che ci è stato fatto ed è solo quel regalo che ci apparterrà per sempre e niente e nessuno potrà mai portarcelo via.

Timoteo non ha mai avuto maestri, non ha mai sentito e non sente il bisogno di averne, ma non si sottrae alla provocazione del cuore; è sconvolto, è soprattutto disorientato; eccessivo in qualunque sua azione; non cerca l’affermazione sociale. Timoteo è ferito da una battaglia contro un nemico fortissimo che non sta all’esterno ma abita dentro di lui.

Non ti muovere dice mentre tutto attorno a lui e dentro di lui è in movimento. Vorrebbe fermare il tempo per cercare un po’ di respiro; un attimo di sosta per capire, soprattutto per evitare la responsabilità della decisione. Il tempo non si ferma e Timoteo non decide, ma si impegna a farlo in futuro.

Il futuro è oggi e oggi si decide e Timoteo non si rende conto che la sua è una decisione; che il non decidere è lasciare ad altri o ad altro la responsabilità della propria esistenza.

Italia sa e decide, decide di uccidere il sogno della sua vita (il figlio appena concepito), decide che lei stessa non vuole più vivere. La vita la ascolta e il suo desiderio di morte si realizza e, in compagnia dell’unica persona che ha amato, finisce la sua misera ma grande, proprio perché misera, esistenza.

Il nome Timoteo suona quasi come un paradosso, dal greco latinizzato significa che onora Dio, un Dio che Timoteo non ha mai preso seriamente in considerazione, un Dio completamente ignorato. I pensieri che affollano il cuore dell’affermato chirurgo sono del tutto privi di quello che va sotto il nome di “comune moralità elementare”.

Colui che onora Dio, di Dio non ha bisogno: decide lui cosa è giusto, cosa è bene e cosa non lo è; dalla comparsa di Italia nella sua vita, le sue decisioni sono state tutte oscillanti tra i due poli. Sembra che non gli sia più possibile fare quello che gli pare e piace; sembra che un “altro” si sia impossessato di lui privandolo del timone.

Lascia senza fiato il dialogo tra Timoteo e Italia, il giorno prima che lei muoia, in cui lui le chiede perdono e lei risponde che sarà Dio a non perdonarli, Timoteo replica che Dio non esiste e Italia pronuncia una sola tremenda parola: “Speriamo”.

Il gelo scende nel cuore di chi legge questo dialogo o vi assiste nella stupenda interpretazione cinematografica; la mente pensa che se anche Dio non esistesse, esiste il nostro essere che non è affatto privo di regole e principi morali.

Il dialogo avviene alla vigilia del compimento della tragedia; tra qualche minuto Italia gli sarà presente solo con poche parole per poi congedarsi, il giorno dopo, definitivamente dalla sua compagnia terrena.

È una delle ultime occasioni per dirsi e dire i propri sentimenti; ancora l’occhio di Timoteo si rifiuta di mettere a fuoco la realtà. Ha di fronte la bellezza e non sa cosa fare, ha di fronte la bellezza e non sa stare fermo; ha di fronte la bellezza e continua a dire non ti muovere; ha di fronte l’amore e insiste a guardare dall’altra parte.

La vita gli sfugge dalle mani; gli è sfuggita la vita del figlio che voleva ma che non ha mai dimostrato di volere; gli è sfuggita la vita della figlia che non ha conosciuto fino a quando ha rischiato che morisse; la moglie che è più convenzione che rapporto affettivo, definisce amici persone che a malapena conosce.

Anni dopo l’esperienza non lo ha lasciato; l’amore incontrato e mai vissuto pienamente, continua ad accompagnarlo; Italia non c’è più fisicamente ma è più presente ora di quando era in vita; dal racconto si intende con chiarezza che è stato il suo amore a salvargli la figlia e più ancora a salvare Timoteo.

Nel film la scarpa rossa di Italia rimasta fuori dalla bara, ora, trascorsi molti anni dalla sua morte, può tornare a calzare il piede, che procede con passo solo all’apparenza incerto, di Italia. Italia non ha mai smesso di osservare la realtà dalla finestra della vita, la sua curiosità vale più di tutti i titoli accademici di Timoteo. Italia ha un cuore puro, limpido, capace di accogliere la vita, capace di accogliere l’amore anche quando questo chiede un grande sacrificio.

Italia, priva di parenti e di veri amici, non è mai stata sola; Timoteo dentro un tessuto sociale ricco, circondato da persone è sempre stato solo: il suo cuore è ingombro di immondizia, di inutili macigni, è ingombro di solitudine egocentrica.

Italia desidera, vive l’amore pieno; Timoteo vive l’amore come lo vivono in molti, come puro esercizio dell’attività sessuale. Lei dona tutto di sé; lui avidamente prende Italia come fosse un suo diritto, in cambio non le da altro che poche parole.

Italia fa del poco che ha il tutto di cui ha bisogno, la sua ignoranza scolastica non le impedisce di avere una profonda conoscenza dell’uomo; di certo una conoscenza molto più grande di quella che possiede l’affermato primario chirurgo che, nel tutto che ha, e di cui non sa che farsene, non sa riconoscere quello che vale, tanto meno il perché valga.

Timoteo si descrive così: “Sono un uomo triste e continuerò ad esserlo, un uomo che guarda con sospetto il suo occhio nel vetro (della finestra); un uomo che stenta ad amarsi, che sopravvive malgrado il disamore verso se stesso”.

Due persone opposte, due situazioni di vita opposte, due diversi esempi formidabili di acutezza visiva; vite che si attraggono su due piani drammaticamente diversi; per lui tante proposte di felicità buttate via fino a quando il tempo è finito e non gli è più possibile ricominciare a vivere.