DiSturbiVisivi – 8 – Parco Della Vittoria Vendesi

Sviluppare il nostro gusto alla bellezza: “Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”, un’altra perla di saggezza popolare. Cercare di prenderla in concreta considerazione oggi è piuttosto difficile, il nostro occhio viaggia su di una strada tutta in discesa, una discesa lieve ma costante, strada tutta diritta e senza curve, strada assai comoda.

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Percorriamo questa strada come su di un cuscinetto d’aria, non sentiamo nemmeno che stiamo procedendo, sembra di stare fermi, non un sussulto nè uno sbandamento; l’elemento tempo è assente, sembra che sulla strada della vita il tempo non esista, siamo incoraggiati alla distrazione, siamo rassicurati dalla completa mancanza di ostacoli.

“Quello che è essenziale è invisibile agli occhi”, Antoine de Saint-Exupery scriveva così, ed è una verità tanto nascosta a noi, quanto operativa nel nostro quotidiano; dobbiamo riflettere sulla nostra cecità, chiederci quale luce stiamo seguendo, che nesso c’è tra quello che ci attrae e noi, che nesso c’è tra quello che desideriamo e noi.

Siamo consapevoli che anche noi stessi siamo invisibili a noi stessi, mi sembra che non ci sia nulla di più essenziale da vedere nella vita che noi stessi, il nostro bisogno, il nostro desiderio, la nostra persona.

Occorre tempo e coraggio, più coraggio che tempo, per stare di fronte a queste domande, ma prima di ogni altra cosa occorre umiltà, parola censurata nel vocabolario dell’uomo moderno e in quello dell’uomo post moderno sconosciuto, parola che evoca l’immagine di un uomo debole e incerto, per nulla “determinato” al successo.

Sulla strada in discesa, nel nostro impercettibile movimento, non vi sono ostacoli; il percorso involutivo, opposto al nostro vero bisogno, sembra che il procedere non sia nemmeno frutto di una nostra decisione, eppure l’abbiamo scelto proprio noi a nostra insaputa; è bastato che ci affacciassimo ad una piccola china e… siamo partiti.

Da allora, non si sa quando, obbediamo ciecamente a comandi ai quali non ci si può sottrarre, isolati nella nostra inalterabile persona, avanziamo isolati nell’inalterabilità del nostro cuore dove non vi è traccia di umiltà. Il “libero mercato” ha arruolato un altro indomito consumatore. Il consumatore sta lì perfettamente ancorato ai suoi binari del consumo.

Noi, indomiti consumatori, siamo stati distratti dalla nostra instancabile attività di vorace consumo cui la “bellezza” sollecita anche durante il sonno, non già da un nostro dubbio ma da un cattivo funzionamento del gioioso balocco del: “prendi, incarta e porta a casa”.

Ora ci troviamo sconcertati da una situazione assolutamente imprevista, come se la carrozza d’oro trainata da un tiro a otto di fieri cavalli bianchi, si fosse mutata di botto in una zucca trainata da topolini; solo che a noi la carrozza non era stata data in scadenza alla mezzanotte: era nostra per sempre.

Anch’io voglio dire la mia sulla crisi, perché questa è prima di tutto, per la tv, per la carta stampata, la crisi del “consumatore”, pilastro della società, che cede rovinosamente nelle sue fondamenta.

Il mondo trema e si dispera: il consumatore non può più consumare perché, non si sa chi, ha deciso che quelle brave persone che gli davano i soldini del monopoli ora non glieli possono più dare. La giustizia mondiale ha deciso che da oggi non si gioca più a monopoli, si giocava da vent’anni e oggi niente più gioco del monopoli.

Se ti vuoi comprare il Parco della Vittoria, i soldi ce li devi avere, e, se te l’eri già comprato con i soldi del monopoli, ora o mi dai i soldi veri o lo restituisci. Il Parco della Vittoria torna così al suo precedente proprietario che lo venderà a chi ha i soldi veri, ma nessuno si fa avanti per comprarlo. Come mai nessuno compra il Parco della Vittoria? Sarà che i soldi veri non ce li ha nessuno?

Così l’ex tuo ex rigoglioso Parco della Vittoria si riempie sempre più di vegetazione infestante, il parco sta lì in attesa di acquirente, in attesa che qualcuno lo abiti, in attesa che riparta il gioco con altri soldi finti.

Quella bellezza ambita, quella bellezza di accessori che trasformano l’uomo da finto a vero, da debole a forte, da brutto a bello, da insoddisfatto a soddisfatto; quell’ingordigia di bellezza comprata, oggi non è più accessibile: tutto diventa brutto e triste.

Chi lavora per fare le cose belle resta senza lavoro, ma chi lavora e guadagna per produrre e vendere bellezze compra anche cose forse non belle ma che indispensabili sono, cose quali cibo e altro.

Sembra strano ma la bramosia di possesso di finta bellezza trascina nella povertà tutto Il mondo così che, come nel gioco del domino, caduto il primo pezzo tutti gli altri crollano in successione.

Il consumatore, ora divenuto ex consumatore, si chiede come tutto questo sia potuto accadere, la tv dice che gli indici sono in rosso, che le cose vanno male; la tv dice che bisogna aspettare che gli indici salgano.

Il consumatore azzerato, che non può consumare più né bellezza, né pane, scopre che esistono gli indici; scopre che gli indici misurano tutto; se non ho idea di quanto ho fiducia in qualcosa, di quanto credo in qualcosa, lo posso sapere con precisione consultando gli indici.

Gli indici misurano tutto e in ogni momento, tanti omini contano continuamente i disoccupati, quante camicie si comprano, quante volte si fa pipì; c’è anche l’indice di colesterolo mondiale, se questo scende, scende anche la quotazione della bistecca quindi meglio non investire in bovini, carbonella e foraggio.

Non so quale strumento di misura si utilizzi per misurare la fiducia del consumatore, né quale mezzo si utilizzi per misurare le attese (non credo si usi il cronometro), ma si misurano anche queste cose così immateriali come i sentimenti. Certo quello che gli indici ci rappresentano è un quadro fortemente deludente: tutti erano certi che il consumatore stesse bene, tutti erano tranquilli perché aveva secchiello e paletta e si divertiva un sacco a fare i castelli di sabbia.

Non sembrava grave non restituire il denaro, tutti dicevano di non preoccuparsi, che se non potevi pagare pazienza e che pagherai con comodo quando ne avrai la possibilità. La pubblicità diceva che quella cosa bella la potevi avere ora, anche se non avevi soldi, che avresti pagato poi con calma, quanto e quando a tua scelta.

Dicevano: perché aspettare di avere il danaro per godere il piacere che quella cosa certamente ti darà, la puoi avere subito e pagarla dopo, con comodo, quando vuoi e quanto puoi, senza fretta.

Ora la fiducia del consumatore, pilastro del benessere mondiale (il consumatore abita tutto il globo escluso solo una piccola parte di circa 9/10. I 9/10 degli abitanti del pianeta infatti non sa nemmeno chi è e cosa vuol dire essere consumatore) ha ceduto, ha smesso improvvisamente di consumare.

Il consumatore allettato comincia a pensare a tutto il suo instancabile lavoro svolto fino a quel momento, energie profuse per metabolizzare tutto il consumabile e sempre di più. Pensa a tutto quell’attraente bottino di cose belle, buone e divertenti, ormai divenuto irraggiungibile.

I grandi al capezzale del consumatore cercano collegialmente la cura efficace per rimettere in piedi e in piena efficienza il consumatore degente; confrontano le loro diverse idee su come risolvere il problema; alcuni propendono per una terapia intensiva per via infusionale, altri sono per la soluzione chirurgica, altri per il trapianto di portafoglio.

I grandi, che sono diventati grandi perchè hanno mangiato tantissima minestra e non facevano mai storie quando veniva il momento di andare a letto, cercano di incoraggiare il consumatore, lo spingono a reagire, a riprendere a consumare con ottimismo.

Ora noi, piccoli e grandi consumatori, costretti allo stop possiamo pensare a ieri e progettare il domani guardando l’oggi con un occhio diverso. Il gioco, finito male, ha rovinato molti piccoli, ha messo in crisi seria molte persone.

Capiamo che il bello si vende, che quello che riusciamo a comperare non è il nostro bello, non è espressione del vero della nostra vita, non ci dà la ricchezza che promette e che quindi dovrebbe, ci dà solo una breve ebbrezza accompagnata da tante piccole, comodissime rate.