DiSturbiVisivi – 16 – La Bellezza e noi

Come abbiamo più volte detto, viviamo nel mondo dell’immagine; un’immagine esasperata che ha perso il senso di se stessa; un’immagine che possiede solo una dimensione; un’immagine finita che non comunica altro che se stessa né, tanto meno, oltre se stessa.


L’immagine che offre questo nostro mondo vuole solo colpire la nostra insaziabile fame, fame di tutto: fame di cibo, di sesso, di potere, di ricchezza (se non quella vera, almeno quella ostentata).

Stimolare la fame di beni – e non di bene – è l’unica preoccupazione di chi pensa di creare un’immagine per sé o per altri o altro.

L’ottenimento del prodotto o del ruolo capace di trasformarci rendendoci vincenti su tutti i fronti, portatori di un’immagine trionfante su tutti e su tutto, è la grande sfida che impegna tutte le energie dell’uomo moderno.

L’azione che deriva dal tentativo di saziare queste diverse forme di fame è, quasi sempre, un’azione violenta: una specie di tutti contro tutti per l’ottenimento di quel prodotto o per occupare quel ruolo che eleva traendo su di sé gli sguardi ammirati di parenti, amici, conoscenti e affini.

La lotta per l’accaparramento del “supremo bene” avviene senza esclusione di colpi; più i contendenti sono legati da rapporti di lavoro o da legami affettivi, tanto più forte è la violenza con cui si ingaggia la battaglia; sarebbe molto interessante poter proseguire con un’analisi dello sviluppo delle dinamiche umane ma ora non si può, in un’altra occasione lo faremo.

L’immagine che oggi si produce è quasi sempre un’immagine di tipo commerciale, l’immagine fa vendere qualsiasi cosa, idee e sentimenti compresi; l’immagine più subdola è quella che non vende beni materiali, ma immagini volte a stimolare la nascita di pseudo sentimenti; queste immagini veicolano virus assai potenti per combattere i quali sono indispensabili forti dosi d’amore.

Proviamo ad immaginare come possa sentirsi chi beve una certa bibita o veste di una tal marca, oppure si sottopone ad interventi di chirurgia estetica, o si carbonizza la pelle al sole per ore; chi mangia una foglia di lattuga e dieci barrette al giorno; chi passa in palestra a sudare quasi tutto il suo tempo libero e poi non riesce ad ottenere, come compenso al suo impegno, ciò che desidera: vale a dire l’ammirazione dei suoi simili.

L’immagine fine a se stessa, senza altro rimando consistente, profondo, concreto, dà origine all’immaginazione. Si crea una vita che persegue la realizzazione di una propria immagine guidata dall’immaginazione: direi una vita virtuale che pure soffre concretamente quando cozza contro le tante contraddizioni dell’esistenza. L’uomo non sa perché si è fatto male e reagisce mollando un sonoro sganassone alla persona più vicina attribuendo ad essa la responsabilità del fallimento.

Non è mia intenzione esprimere condanna senza appello verso chi cerca di migliorare la propria immagine o quella di altri, o produrre “immagine” per vendere un prodotto. Le degenerazioni sono presenti ovunque e, a vantaggio della vera bellezza, occorre indicare alcuni spunti di riflessione che possano aiutare a correggere eventuali “disturbi visivi”.

L’immagine dovrebbe tendere alla bellezza. L’immagine non è sempre lo stereotipo della bellezza ma comunica e indica sempre la radice del bello, che sempre trova il suo senso autentico nella verità; questo sta a dire che ciò che è vero è anche bello e che ciò che apparendo bello non contiene o rimanda ad una verità è un bluff.

La bellezza della nostra immagine trae la sua radice nel nostro io: più il nostro io è “ordinato”, cioè segue un ordine non casuale, più il nostro io è in armonia con il nostro corpo, con l’espressione visibile che il nostro corpo restituisce. Chi incontra una persona che coltiva il senso della propria vita spingendolo oltre l’immediato, oltre il finito, si accorge subito che vi è armonia tra il suo sguardo e la sua presenza fisica.

Trattandosi di “problemi visivi” preoccupiamoci prima di ogni altra cosa di rimettere bene a fuoco il nostro occhio perché possa, collegandosi al sistema cuore/cervello, distinguere il valore dell’immagine nostra e dell’altro che vediamo/incontriamo.

Parliamo di quello che percepiamo quando fissiamo uno specchio: noi ci guardiamo e questo gesto ci porta ad esprimere sempre un pensiero riguardo a quello che vediamo. Forse non ce ne rendiamo conto ma, quasi sempre, quando ci guardiamo pensiamo, se non a noi come siamo, a noi come vorremmo essere; più che cercare di capire quello che vediamo, pensiamo a cosa vediamo.

Può capitare che la persona non si piaccia e che abbia perso ogni speranza di migliorare il suo aspetto fisico; questa persona eviterà lo specchio perché sarà per essa fonte di disagio; coloro che si piacciono, invece, non sanno stare lontani dalla propria immagine e tutte le volte che possono sottopongono la propria persona alla prova dello specchio, se hanno i capelli con un gesto istintivo se li aggiustano con le mani.

Questo modo di guardare e di pensare a noi stessi è sempre fuori dalla verità; qualche volta è solo un po’ sbagliato, ma spesso è completamente sbagliato. La società in cui viviamo ci ha addestrati ad esprimere il giudizio su chi siamo da come ci vediamo e non da quanto, il nostro modo di vivere e di essere, riesce a restituirci come valore vero.

Ci accorgiamo immediatamente, guardando le persone che incontriamo sulla nostra strada, quale sia l’effetto di tale pensiero. I “tipi umani” principali non sono molti; un “tipo” è quello che pensa: “io sono quello che sono; quello che ho addosso e il mio corpo contano quasi zero”.

Descriviamo questo tipo nella forma più estrema: egli indossa un abbigliamento “casual” degli anni passati, colori in genere scuri che fanno a botte tra loro, abiti usati per decenni prima e mai curati, capelli (per chi ce li ha) che vanno, in piena libertà, dove vogliono.

Il fisico di tale persona può essere segnato sia da eccesso di colesterolo a scopo compensatorio di una, quasi totale, mancanza di affetto percepito; egli possiede un viso rubicondo e uno spirito falsamente gioviale; sia quello tendente alla magrezza segno di profonda insoddisfazione esistenziale.

Queste persone hanno un rapporto con il cibo leggermente alterato; l’uno distingue quantità prima e qualità poi; il magro è invece colui che potrebbe avere una tiroide versione turbo oppure pensare che di quello che mangia gliene frega poco perché “è solo cibo”: di questo tipo esiste anche una versione intellettuale.

Lo stesso rapporto lo si stabilisce con il proprio corpo per la cui pulizia il soggetto usa il primo detergente che gli capita e quando capita; non usa deodoranti, né si profuma (sono atteggiamenti consumistici da aborrire): i loro peli non sono mai superflui: “se ci sono fanno parte di me e me li tengo”.

La pelle non gode di alcun riguardo; mai preso in considerazione l’uso di creme, neppure di quelle semplicemente idratanti; esse sono considerate un vezzo utile solo a chi ha soldi da buttare: madre natura provvede da sé.

Poi c’è l’altro tipo che, pur adottando la stessa filosofia di base, usa con estrema generosità profumazioni tanto penetranti da uccidere istantaneamente tutti i tipi di insetti che hanno la sfortuna di entrare nella sua orbita; l’odore è talmente penetrante che gli consente di trovare tanto spazio libero, sia per sedere che per stare in piedi, su qualsiasi mezzo pubblico, anche se super affollato.

Questi tipi umani non attraggono gran che i loro simili, né per il loro aspetto fisico, né per l’odore che da loro promana; la scarsità o la mancanza di rapporti che ne consegue viene interpretata dal soggetto come una delle tante profonde carenze del genere umano e in particolare di quello italiano.

Il soggetto opposto è colui o colei che indossa solo abiti firmati, non importa chi li abbia firmati se lo stilista in persona, qualche quasi omonimo o il vicino di casa. La firma è necessaria ed essa deve essere posta possibilmente in modo molto visibile, che si noti anche da lontano.

I suoi capelli non sono in disordine ma hanno un ordine severo; i suoi capelli non sgarrano, forse non sono tutti dello stesso colore: ma poco importa si tratta solo di un piccolo e insignificante dettaglio.

Su di loro grandi quantità di creme, di bijou e “profumi” spruzzati con uno strumento molto simile allo spruzzino del fioraio.
Come sempre, trovare un equilibrio non è facile.

Offriamo al mondo e al nostro prossimo la bellezza quando portiamo in noi il senso della vita, della vita nostra e di quella degli altri; quando portiamo il senso di ogni vita. La bellezza sarà proporzionale a quanto questo senso della vita in noi è profondo.

Questa è la bellezza che si vede: insieme alla cura che dobbiamo al nostro corpo, al nostro benessere biologico. Possiamo anche non avere lineamenti perfetti, anche essere un po’ bruttini o anche brutti proprio ma se in noi c’è la bellezza del vivere, anche del faticoso vivere, l’ampio interesse per la vita il nostro occhio, che non mente mai, darà luce nuova alla nostra fisicità.

La cura a noi stessi va rivolta tanto al corpo quanto allo spirito, sono due attenzioni che vanno di pari passo, avere cura del proprio corpo non richiede grandi disponibilità economiche.

La cura del corpo sta nelle poche regole che possiamo darci, regole che ci danno un corretto ritmo del sonno, un tempo per noi stessi speso un po’ in silenzio e un po’ in letture edificanti (come questa), un’alimentazione possibilmente equilibrata, scegliere tra i colori con i quali ci vestiamo qualcuno che porti un po’ di luce.

Come ci vestiamo e la cura del nostro fisico e del nostro spirito è attenzione che diamo a un bene assai prezioso: la nostra persona.

Noi siamo sotto la nostra responsabilità: se ci trattiamo bene saremo capaci di trattare bene gli altri. Se trattiamo bene gli altri innescheremo un processo virtuoso: dando del bene, riceviamo del bene: sempre e tanto.

Sono semplici regole: se non ci torna del bene in qualsiasi forma vuol dire che il bene che diamo a noi non è il nostro frutto migliore. Il “lamento” che spesso esprimono le persone è il frutto di uno scarso bene a se stessi e, di conseguenza di uno scarso bene dato all’altro.

Riprendiamo l’immagine che lo specchio ci restituisce e diamo un’occhiata al nostro viso e ai nostri occhi e chiediamoci che cosa esprimono, cerchiamo di capire se esprimono bellezza e amore. Se riusciamo a guardarci con sincerità e verità capiremo qualcosa di più di noi stessi: useremo lo specchio come strumento per conoscerci meglio

Noi non ci riconosciamo perché non ci siamo mai visti, ma se pensiamo, riflettiamo su come gli altri ci trattano e cerchiamo di legarlo alla nostra immagine, sono certo che capiremo tantissime cose.

Se vogliamo fare un esercizio ancora più efficace, registriamo la nostra voce e riprendiamo la nostra persona in azione, in un qualsiasi momento della nostra vita. Riguardiamo e riascoltiamo quelle sequenze: quelli siamo noi; se ciò che sentiamo e vediamo non ci piace troppo o non ci piace affatto abbiamo a disposizione un ottimo strumento per lavorare sul nostro cambiamento.

Abbiamo detto più volte che l’uomo non è un soggetto isolato dalla vita autonoma, un essere che vive di se stesso e delle proprie illuminate idee. Se prendiamo sul serio questi pochi suggerimenti ci sarà molto più chiaro quale è il nostro principale bisogno, il bisogno riconosciuto inevitabilmente genererà una ricerca.

Cercare di soddisfare il nostro principale bisogno ci porterà ad incontrare e unirci ad altre persone che si riconoscono nel nostro stesso bisogno; compagni di vita, compagni di strada.