DiSturbiVisivi – 13 – Un Occhio al Natale, natale

Siamo nel tempo che precede la festa del natale, le luci nelle nostre città vorrebbero illuminare e creare bellezza; ad un occhio attento non può non balenare la domanda: “perché? a che mi serve? la data non mi va bene!”

La bellezza del natale ha radici profonde e intatte, ma sono radici che vivono nella terra e lì vede solo chi lì vuole guardare. Nella nostra società la bellezza del natale sta nell’albero. Natale si potrebbe ribattezzare nel carnevale degli abeti. Alberi meravigliosamente decorati dalla natura con la neve, vengono da noi decorati appendendo ai suoi bellissimi rami ogni sorta di oggetti luminosi e no.

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Gli abeti non si offendono, almeno non lo danno a vedere, anche se molti muoiono senza protestare per dare delizia alle nostre feste in case dove, per qualche giorno, si vive la dimensione della “gioiosa” festa in famiglia con tanti doni per tutti.

Ecco un esempio direi assai evidente di bellezza contraffatta: il Natale, festa religiosa da sempre nei nostri ricordi; è stata modificata eliminando il Santo dal Natale ed eccolo trasformato in una pantomima collettiva fatta di luci destinate a spegnersi, qualche buona iniziativa destinata ad essere presto dimenticata e, per chi può, regali e vacanze.

I media compilano i loro sevizi con un “copia e incolla” e qualche modifica, per esempio l’anno (attenzione ricordatevi di cambiare la data!) “gli italiani quanti soldi hanno, quanto spenderanno, cosa regaleranno e a chi regaleranno; i negozianti quanto hanno venduto in meno, i clienti che entrano e non comprano: il consumatore attento ed esigente e poi: quanti soldi spenderanno gli italiani per mangiare e cosa mangeranno gli italiani, dove mangeranno e il giorno dopo come digeriranno”.

Poi ci sono i poveri, per un giorno mangeranno anche loro, i barboni seduti a tavola per una volta all’anno e serviti di tutto punto, panettone e spumante compreso; i bambini poveri anche loro con il balocco in mano, lo sguardo felice.

Non mi permetterei di giudicare i sentimenti e le buone intenzioni di nessuno, anche se questi a volte durano solo per qualche ora. A natale siamo tutti più buoni (spero non solo per i cannibali!); essere più buoni anche per un solo minuto è già un fatto degno di menzione, essere più buoni ci fa davvero migliori, quindi più felici.

Il Santo Natale o natale e basta è una grande occasione per cambiare; dobbiamo stare attenti perché un’occasione non colta ci rende più stabili nel terreno dell’immutabile; un’occasione non colta limita la nostra libertà di uomini rendendoci ancor più tristemente prigionieri di noi stessi.

Una buona occasione non colta ci priva di un sorriso autentico, ci emargina dalla vita, ci allontana dalla possibilità di realizzare pienamente la nostra persona. Una buona occasione la si afferra per cambiare, è un nuovo inizio, un nuovo orizzonte nel quale cercare le ragioni e lo scopo del nostro vivere.

“Pensatori” sensibili, da molti anni, criticano lo svuotamento della natura del Natale trasformata in orgia consumistica; da tempo sono sempre più numerose le proposte per vivere l’occasione con un senso più concreto e profondo.

Ecco un esempio di bellezza finta che, non realizzando unione, separa anche le frazioni di tempo: una pausa di qualche giorno per la preparazione della festa fatta di alberi segati, di luminarie accese, di affannosa ricerca del regalo (venditori offrono le loro “idee regalo”. Che tristezza pensare che abbiamo addirittura la necessità che qualcuno ci dia l’idea di cosa regalare ai propri cari) per i propri cari; di cosa mangiare la cena della notte (se la fame ci consente di aspettare tanto).

L’aspetto di questa festa che prevede il dono, può diventare la parte più angosciante: si cerca un regalo per una persona amata e non si sa cosa regalare: “Cosa le regalo? Ha tutto!” Quante volte, direi spesso, si ricevono regali che denotano l’essere totalmente sconosciuti ai mittenti, siano essi parenti o amici o, peggio ancora, compagni di vita.

A volte succede che faccia ritorno a casa il regalo che si era riciclato in occasioni precedenti: il dono è passato di mano in mano fino e far ritorno al luogo di origine; torna indietro magari anche con la stessa carta un po’ strapazzata. Per non sbagliare finisce che si regalino i soldi: stupendo, un regalo pensato indagando nel profondo la persona cui il dono è destinato.

Il natale, parentesi di tempo, che inizia si sviluppa in crescendo in una follia collettiva che coinvolge chiunque abbia un conto corrente non in rosso e che si conclude di botto lasciando i cassonetti dell’immondizia tristemente pieni e le nostre case ulteriormente ingombrate di inutilità.

Una bellezza che, non essendo vera, non unisce ma separa, una bellezza che abbaglia l’occhio e con esso il cuore; una bellezza che spegnendosi lascia aperta la desolazione della solitudine senza speranza, una bellezza che uccide la Bellezza.

Il Natale vissuto sia nella coerenza delle fede cristiana o nella coerenza di un richiamo all’amore per l’altro, dà la possibilità di aprire l’occhio, quindi il cuore, sulla realtà, dandoci l’opportunità di spingerci anche molto oltre il confine del nostro limitato orizzonte, oltre i limiti del tempo; ci offre l’opportunità di inoltrarci nella storia attraverso il primo passo dell’oggi: ci offre l’enorme opportunità di compiere un’esperienza.

Ecco cosa ci lascia il natale consumista: cibi preparati in quantità tripla, anche per i ventri più capienti, destinati, nella migliore delle ipotesi, al bidone dei rifiuti organici; la natura privata di magnifici abeti la cui aspettativa di vita era di decine e decine di anni abbattuti per decorare una festa della durata di una settimana, inquinamento da mobilità esagerata; energia elettrica a go-go per le luminarie; animali e anche uomini spaventi da botti sempre più potenti; enormi quantità di rifiuti da smaltire…

Ci lascia lo spettacolo desolante del “giorno dopo”: cassonetti straripanti di imballi e carte natalizie, residuato di botti e porcherie varie su strade e marciapiedi e un silenzio surreale fatto di sonno muto, il festante che, dopo molte ore dai bagordi, cerca di recuperare lo “stato vigile”.

Un bambino nell’istante stesso in cui nasce, con la sua sola presenza rende il mondo migliore. Questo è l’avvenimento che accade per tutti e a cui tutti guardiamo a Natale; insieme fissiamo lo sguardo al mistero della nascita, tutti insieme contempliamo fermi, immobili, in silenzio, ascoltando la vita, quella stessa nostra vita un giorno nata, magari tanti anni fa. Quel bambino siamo stati noi, siamo noi quel prodigio, anche noi siamo e siamo stati un tempo quel prodigio; ci guardiamo allo specchio e ci accorgiamo di quanto siamo cambiati.

Il sorriso di quel bambino quanto è lontano dal nostro, allora ci viene una voglia fortissima di regredire, meglio di progredire per avvicinarci sempre di più a quel sorriso; ci vien voglia di buttare via quel nostalgicismo penoso di un tempo che non c’è più e si manifesta in noi un irresistibile desiderio di recuperare, di imparare da quel bambino la semplicità.

Quel bambino non facciamolo diventare una figurina, non facciamolo diventare un discorso, un melenso romanticismo; facciamolo diventare una vita, la nostra vita. Quel bambino per diventare un grande uomo ha bisogno sì di cibo ma soprattutto d’amore. Il cibo non ci manca (almeno a noi che ora leggiamo), l’amore cominciamo a cercarlo, a sperimentarlo via via, nelle forme sempre più elevate. Quell’amore doniamolo a tutti.

Il Natale non riguarda prima di tutto il mondo che ci circonda o la società, il Natale riguarda noi; il natale ci dice che la responsabilità della nostra vita è nostra e di nessun altro. Forse ci troviamo in una situazione difficile o anche drammatica, ma nel nostro cuore ci mettiamo mano solo noi stessi. Liberiamolo dalla cataratta che lo opprime, liberiamolo dalle invadenze di sentimenti acrilici e facciamolo respirare di quell’amore naturale, semplice e disponibile di cui il nostro mondo è silenziosamente inondato; amore reso invisibile dal fumo dei consumi obbligatori.

Faccio a tutti l’augurio di riuscire a guardare il cielo e sentire, nel silenzio della notte, che “lassù qualcuno ci ama” e poi con quel nostro cuore cambiato guardare qui sulla terra e renderci conto che anche quaggiù qualcuno ci ama di un amore simile.

Se riusciamo a gustare la pace che nasce in noi come un bimbo, avremo messo nel nostro cuore un seme che non perirà mai, un seme che crescerà con il tempo fino a darci una gioia e una pace profonda e inviolabile.

La gioia che ci propone la nostra società malata è un bel regalo e un’ottima cena magari assaporata in un luogo incantevole; la gioia vera del natale, che si creda o no a Gesù bambino, è lo stupore per la nascita, il neonato è una persona che prima non c’era e adesso c’è, una vita appena nata è la più grande novità a cui un uomo possa assistere e di cui un uomo possa godere.

Non permettiamo che il natale, sia Santo che no, finisca nei cassonetti dei rifiuti. Guardiamoci attorno, troveremo senza dubbio qualcuno che dà sistematicamente un po’ del proprio tempo a chi ha bisogno, qualcuno che lo fa senza altro scopo oltre quello di dare gratuitamente una parte di sè; aggreghiamoci a qualche gesto di bontà da ripetersi gratis più volte durante tutto l’anno. Capiremo sempre meglio quello di cui abbiamo urgente bisogno per non perdere il nostro tempo, per non lasciarci sfuggire definitivamente pezzi importanti della vita nostra.

Nell’esperienza di bellezza che nascerà verremo rapiti dal suo inesauribile fascino, crescerà l’amore a noi stessi e inizieremo una nuova vita dagli esiti imprevedibili e sconfinati; diventeremo nell’arco di poco tempo grandi produttori ed avidi consumatori d’amore.

Il mondo sarà più “caldo” e la causa non sarà l’effetto serra….