Vedo ma non sento. Occhio sì, orecchie no. – 25

Se prima si poteva parlare di una cataratta virtuale, da eliminare con esercizi e attraverso una diversa attenzione alla realtà, oggi la situazione si è rapidamente involuta.

Dalla cataratta virtuale che ingrigisce i colori della vita si è passati al buio quasi totale.

La terra trema e ovunque l’occhio guardi si trova ad osservare la paura.

In alcune parti del mondo si vedono uomini armati che hanno un unico desiderio: uccidere il nemico. Uomini capaci di uccidere ovunque e chiunque.
Da qui il timore di stragi le cui possibilità di attuazione sono praticamente illimitate.

Dove non ci sono armi che sparano c’è la finanza a pensarci, ed è  quest’aspetto che cercheremo di focalizzare.

Stati (cittadini di Stati, una elevata percentuale di cittadini di Stati) divenuti improvvisamente poveri. Popoli in piazza a manifestare la loro ira,  distruggendo quanto più possibile e ingaggiando scontri con i poliziotti: l’un contro l’altro armati (mi vien da pensare che tra i due contendenti deve esserci un terzo, che nei fatti non si palesa, ma che  gode smisuratamente; gode almeno proporzionalmente tanto quanto è lo sconquasso causato e nel quale ci troviamo).

Se a certe latitudini si teme per la vita, in altre si teme sia per la stessa che per la povertà.

Il mondo è piombato nella paura e l’antidoto proposto da più parti è la distrazione; che l’occhio guardi altrove: l’antidoto è l’evasione; l’antidoto è, anzitutto: carpe diem; non lasciarti sfuggire le occasioni di piacere che ora ti si presentano… domani non si sa cosa potrebbe accadere.

È il rimedio dell’era moderna: non pensarci, non ne vale la pena. È probabile che un rimedio effettivo ed efficace non esista o che non stia a noi trovarlo e applicarlo.

Puntare però l’occhio sulla realtà così come essa è, serve a comprendere le ragioni di quanto sta accadendo nonché il modo di vivere nella consapevolezza gli avvenimenti senza aspettare che arrivino tra capo e collo.
Invece di ricevere resoconti chiari ed esaurienti, veniamo sommersi da più parti, da notizie – se non uguali simili – che enfatizzano alcuni aspetti e ne trascurano altri.

Notizie che, come sempre, vogliono coinvolgere unicamente la nostra componente emotiva. Siamo spinti in un recinto; contagiati dalla cataratta virtuale, ci troviamo di continuo condotti al suo interno. A fatica riusciamo ad uscirne, ma basta una piccola distrazione e subito ci ritroviamo nell’interno.

Nel recinto mangiamo il foraggio che ci è dato, mangiamo tutti lo stesso cibo.
Nel recinto diveniamo facile, lauto pasto di personaggi dotati di grosso ventre.

Credo sia urgente liberarsi, almeno nel proprio intimo, dai violenti che si mimetizzano – indossando il benevolo, rassicurante costume da pastore – “soggetti” insospettabili che ci introducono all’interno del recinto.

Liberarsi dal condizionamento negativo aguzzando la vista; liberarsi dalla influenza negativa utilizzando il solo discernimento visivo. Quanti affermano, con piena convinzione, di esserne fuori, poi – in effetti – si accomodano al pasto uniforme fornito nella zona cintata affermando, nello stesso tempo, la loro autonomia di pensiero e azione.

Tutti, in buona fede, ripetono sempre gli stessi concetti; magari colorati in vario modo se non di giallo, di marrone.

Qualcuno da ascoltare ci vuole; anzi è indispensabile ma, perché le nostre orecchie si aprano, dobbiamo avere, prima di ogni altra cosa, davanti a noi un’immagine ben precisa di pura, consistente, fondata bellezza.

Forse si tratta di iniziare a guardare la bella immagine avendo precedentemente provveduto a compiere un atto di liberazione da tutto; resettare i circuiti cardiovisivi, rendendoli nuovi, come se fosse la prima volta che li usiamo.

Trattiamo i nostri concetti e giudizi, liberandoli prima da preconcetti e pregiudizi.

L’esercizio di oggi è il seguente: per la pulizia dei circuiti occorre che l’occhio sia ben aperto, e le orecchie – viceversa – ben chiuse; si indirizzi lo sguardo quindi su immagini semplicemente belle. Belle in quanto tali, senza che esse sollecitino istinti di fame varie; siano esse di cibo o di altro genere (qui si potrebbe incontrare la difficoltà maggiore… trovare quelle “belle” immagini).

Cercate immagini autenticamente belle tali da rompere il muro del tempo e dello spazio, rendendo il nostro respiro libero da ogni confine determinati da pregiudizi e preconcetti.

Per qualche tempo esercitatevi a guardare senza sentire.

L’occhio non deve, per nessuna ragione, vedere alcun segno di rabbia, ira, violenza; non deve percepire nemmeno sfumature di satira che possano sconfinare nell’offensivo: contemplazione nel silenzio.

Dobbiamo depurare il cuore.

Iniziamo un allenamento intensivo di separazione di quello che vediamo da quello che ascoltiamo, escludendo completamente quest’ultimo.

La prima volta che sono riuscito a escludere il canale audio, in occasione di un colloquio, è stata un’esperienza meravigliosa.

Sappiamo tutti che quello che sentiamo vale il 7% di ciò che si definisce la comunicazione complessiva, ma – a mio parere – è quel 7% che condiziona parecchio il restante 93% di quello che noi percepiamo, possiamo affermare che si tratta di un 7% pesante.

Il mio interlocutore mi chiese, notando la mia espressione assente, se stavo seguendo il suo ragionamento; mi sono scusato dichiarandomi distratto da altri pensieri.  In realtà ero concentratissimo su quello che mi stava comunicando ma non con le parole, bensì con tutto il resto della sua espressività.

In quell’occasione ho iniziato a notare il valore del restante 93% isolato dal sette.

L’occhio non si inganna tanto facilmente.

Poniamo di osservare cravatte dal valore di dieci bistecche o di collane del valore di un bovino, e supponiamo, in un secondo momento, di aprire il canale audio: facciamo fatica a prendere sul serio le parole che escono dalla bocca inserita nella testa alla cui base si trova il prezioso ornamento.

Si fa fatica a recepire l’invito al sacrificio richiesto alla Nazione. Quando poi osserviamo attorno alla cravatta – o collana in questione – muoversi tante altre cravatte e collane, borse e cellulari sempre attivi, si fa disumana la fatica a capire come mai tanta attività non corrisponda ad un benessere copioso e diffuso.

L’uomo si domanda: devo credere a quello che sento o a quello che vedo?
L’occhio, opportunamente addestrato, va alla ricerca, ampliando al massimo il suo campo visivo, di occhi appassionati, di occhi che trasmettono idee e proposte di giustizia e di correttezza.

L’occhio ha bisogno di vedere persone che rinunciano alla cravatta in favore del bene comune, in favore della cassa comune e non di persone che manifestano giustizia sociale e che non rinunciano alla cravatta ma la conservano nel cassetto.

Le cravatte sono belle con pieno diritto a stare sul mercato, ma l’occhio ha bisogno di vedere persone in azione che, mentre tolgono qualcosa a tutti, mettono nel cestino della comunità le loro poltrone sostituendo, solo quelle strettamente necessarie, con comode sedie.

Basta con le poltrone: sono troppo comode e si corre il rischio di addormentarsi.

Niente più poltrone ma sedie, magari comode, ma sedie, anche per evitare di affezionarcisi troppo.

Le cravatte sono belle con pieno diritto a stare sul mercato e attorno al collo di eleganti signori, ma devono essere indossate da persone, non da illustri teorici del sacrificio.

Una poderosa cura di bellezza per i nostri occhi è proprio quello che oggi ci vuole: autenticità vista e non sentita; sorriso vero e non convenevoli opportunistici.

Belli e brutti, tutti insieme, se lo desiderano, possono nutrirsi di bellezza; con il cuore pieno della essenzialità del bello le nostre gambe si muoveranno nella direzione giusta e acquisteranno passo spedito.

Credo che qui si collochi bene l’espressione idiomatica che Leonardo Sciascia fa pronunciare a don Mariano nel romanzo “il giorno della civetta”; egli dice: “io ho una certa pratica del mondo, e di quello che definiamo “umanità”, la divido in: uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà… pochissimi gli uomini, i mezzi uomini tanti;  mi accontenterei che l’umanità si fermasse ai mezzi uomini e invece no, scende ancora più giù…”

Gli uomini ci sono. Se, dopo questo breve esercizio, ci siamo resi conto di appartenere a categorie inferiori (ma solo per distrazione) possiamo recuperare posizioni nel tempo brevissimo di un istante.

Un istante basta a cambiare radicalmente rotta e buttare via tutto il vecchio che, ora ce ne rendiamo conto, rischia di soffocarci.

Occhi aperti quindi e orecchie ben tappate!