Michael Jackson sull’Isola Che Non C’è

Sono rimasta molto colpita dalla notizia della morte di Michael Jackson. Come molti, forse inconsciamente, lo avevo avvolto in un’aura di immortalità; chi è famoso e lo diventa da giovanissimo, non può, non deve sottostare alle leggi naturali.

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Leggo adesso su Occhio che era affetto da una malattia genetica che lo avrebbe portato alla cecità, causandogli inoltre problemi molto gravi a fegato e polmoni.

Sapendo questo posso comprendere meglio la sua paura di invecchiare, il suo cercare in modo spasmodico di prolungare la sua giovinezza, di modificare la sua immagine in modo che la Nera Signora non potesse riconoscerlo e portarselo via.

Seguendo la teoria che associa le malattie fisiche ad un profondo disagio dell’anima (“Ascolta il tuo corpo” di L. Bourbeau, ed. Amrita) la progressiva cecità di Jackson potrebbe trovare una spiegazione: gli occhi sono lo strumento con il quale osserviamo il mondo ma anche lo creiamo e modifichiamo a seconda di ciò che viviamo internamente.

Come avevo già scritto in un precedente articolo (Armonia) probabilmente noi siamo anche ciò che vediamo, cioè ci costruiamo un nostro mondo che rispecchia quello che pensiamo, i nostri sentimenti più o meno positivi, la nostra apertura nei confronti della vita. Oppure possiamo anche non riuscire a far combaciare ciò che percepiamo in noi con quello che avviene fuori, creando così un conflitto.
Di conseguenza le malattie oculari potrebbero anche essere causate da un “non voler vedere” ciò che ci sta di fronte, da un rifiuto di confrontare il nostro mondo interiore con quello esterno. A questo punto diventiamo tanto “abili” da autoprocurarci una lesione, rendiamo tangibile e fisico quello che appartiene all’etereo ed all’invisibile.

Jackson era stato quello che si dice un bambino prodigio, aveva iniziato a lavorare giovanissimo, non aveva vissuto la sua infanzia in modo corretto e naturale. Forse dentro di lui la visione fanciullesca del mondo non aveva cessato di esistere e reclamava attenzione, quell’attenzione che non aveva trovato risposta, trasformandosi piano, piano, in un conflitto doloroso e lacerante.
Tanto lacerante da morirne.
Nemmeno le bellissime parole di molte sue canzoni, piene di sentimento e profondità, non sono riuscite a guarirlo da questa sua “cecità”. Procurata da una sofferenza così antica da non riuscire a fargli togliere la mascherina che portava sempre, il rifiuto di respirare liberamente e di vedere.

Oppure anche lui come Frodo, come re Artù, come altri personaggi mitici, con un piede nella storia ed uno nella leggenda, si è solo allontanato per un po’ di tempo, per tornare in tempi migliori. Andando a riposare in un isola che, se per i Re e gli Eroi spirituali era Avalon, per Jackson, moderno Peter Pan, sarà senza dubbio l’Isola Che Non C’è.