L’occhio vede, la ragione chiede? – 27

terra Porsi delle domande è identificativo dell’uomo, tutti gli uomini si pongono domande, il quando e il come appartiene alla libertà di ciascuno.

Credo che in tutti noi sia continuo il bisogno di dare significato concreto ad ogni immagine che osserviamo, ogni nostra esigenza e gesto compiuto. Di quanto sia cogente questa sete di significato possiamo accorgercene nei momenti in cui possiamo godere di un sano silenzio. L’urgenza di significato l’avvertiamo in forma potente anche quando ci troviamo in una situazione di fatica fisica, morale o affettiva.

La difficoltà non ce la si augura mai e non è, per noi, condizione abituale di vita (a meno che non ci si trovi a vivere situazioni di guerra o di fame o di tutt’e due contemporaneamente); quasi sempre è la difficoltà a far emergere dal nostro io la domanda.

Il sano silenzio in noi non avviene per caso: occorre trovarsi in una circostanza particolare perché ci si ritrovi in una condizione di sano silenzio. Da queste considerazioni: mancanza di silenzio e circostanza che lo provochi, si può dedurre che la sete di significato rimanga spesso nascosta a noi stessi e, di conseguenza, insoddisfatta.

L’uomo che non appaga la sua sete di significato nella sua vita, senza che se ne accorga, è un uomo disidratato, in questo caso non è ovviamente la disidratazione del corpo ma quella, non meno grave, dello spirito.

I sintomi della disidratazione del corpo nelle prime fasi hanno scarsa evidenza; l’anziano che ha uno scarso senso della sete e non beve, si trova, senza comprendere il perchè, in una situazione clinicamente grave.

La disidratazione dello spirito ha come conseguenza una profonda solitudine. Ci si trova con molte risposte ma nessuna domanda, risposte tuttavia ottenute in assenza di domande e, non c’è nulla di più assurdo, di una risposta a una domanda che non si è posti.

Chiedersi che senso ha la vita, il desiderio di felicità da dove viene e come appagarlo; chiedersi quale verità della nostra vita stiamo vivendo/investendo; chiedersi se le scelte e le non decisioni che prendiamo ottengano un effettivo aumento di gioia nel cuore: non è nè banale né, tantomeno, irrazionale porsi queste domande.

Oggi c’è il “centro commerciale” che contiene di tutto, lì troviamo, anche in offerta, risposte che contengono domande che sorgono contemporaneamente alle risposte, lì attingiamo la nostra gioia di plastica. Desideriamo e compriamo cose, la nostra ragione cerca di guadagnare soldi mentre iul nostro cuore desidera carezze. La ragione cerca carezze nel grande fratello che, oggi più che mai, suona come una tragica farsa.

Oggi assistiamo al grande fenomeno in cui ogni nostra esigenza, anche di affetti, si è portati a soddisfarla al modo del “centro commerciale”.

Parlo di “centro commerciale” perché dell’uomo si riesce a fare commercio anche dei suoi aspetti più intimi e lì che la macchina degli affari agisce con cinica determinazione, incurante della falsità con cui usa i sentimenti più nobili della persona.

Il mondo afferma che il nostro desiderio profondo di uomini è saziato nel e dali’approccio razionalistico, da quel razionalismo creato in laboratorio che produce una soddisfazione della sete che dura un secondo, giusto il tempo necessario al nostro occhio di indirizzarsi e posarsi altrove.

Il resto lo fa il pensiero nominalista, oggi molto in voga, pensiero che si afferma in ogni manifestazione “commerciale”, vale a dire che la parola gioia, felicità, realizzazione completa dell’esistenza non sottendano alcun significato concreto; nella sua forma più esasperata la parola felicità rappresenta unicamente un suono: “flatus vocis”.

Urge ricordarsi che non ci si deve mai accontentare di una risposta che dura un minuto, di una risposta che già domani è scaduta a non soddisfa più.

Questo non significa affatto che la risposta non esiste, ma vuol semplicemente dire che abbiamo cercato male.

Occorre essere irriducibili nella ricerca, durasse anche tutta la vita, bisogna cercare altrove non sulla strada del “centro commerciale”, non sulla strada dei media invasivi e infestanti.
Se è possibile aiutare con un esempio si potrebbe dire che, a volte, cerchiamo funghi d’estate, in riva al mare.

Il primo passo è togliere polvere e ragnatele dalle domande che il nostro cuore ha: il bisogno di bellezza, di quella bellezza che non appassisce mai; guardare la persona che si ama e stupirsi cinquant’anni dopo averla conosciuta, che la sua bellezza è più grande di quella che aveva al primo giorno.

Bellezza quindi non solo stabile ma in crescita costante, bellezza che si rivaluta come bene prezioso, bellezza che è riconoscibile nella corrispondenza tra quello che è fuori di noi con quello che è dentro di noi (affrancato dell’influenza dagli istinti). Dobbiamo affermarlo con la nostra vita che non siamo solo un prodotto biologico.

Alcuni scientisti dicono che l’uomo deve il suo livello di evoluzione (se di evoluzione si può parlare) al fatto di essere dotato di mani che afferrano, mentre gli animali no; certo che se gli elefanti avessero ali adeguate potrebbero anche volare e ammirare la terra dall’alto. Sarò banale ma l’uomo è l’uomo e gli altri esseri viventi hanno ciascuno le loro caratteristiche
Credo che in tutte le cose che facciamo vivendo, abbiamo questa preoccupazione costante; rispolverare le domande e cercare risposte adeguate.

Se desideriamo imparare a nuotare non facciamo un corso di cucina, non ci rivolgiamo nemmeno a chi ci insegna unicamente una tecnica, se vogliamo imparare a nuotare cerchiamo un maestro che ami e conosca il mare e sia in grado di trasmetterci integralmente quell’amore accompagnandoci nell’ambiente acquatico.

Il nostro corpo imparerà, saprà muoversi con naturalezza nell’acqua ma, e questa è la cosa più preziosa, avremo e vivremo in forma stabile in noi, l’amore per l’acqua.

Capire e saper ascoltare il mare; ancor più capire e saper ascoltare l’uomo (noi stessi e l’altro) nel suo profondo bisogno di esistere rende, inevitabilmente, l’unità (in noi stessi prima e poi con l’altro).

La domanda cresce e si esplicita sempre più parallelamente all’affacciarsi delle prime risposte, tutte sempre da verificare, che diventano esperienza concreta perché quelle risposte non sono solo “flatus voci” ma esperienza concreta di vita.

Vorrei qualcosa di buono da mangiare! Se a questa richiesta mi venisse offerta in risposta una gustosa pietanza non potrei considerarmi soddisfatto nel solo guardarla, il cibo (la risposta) va assaggiato e, se riconosciuto succulento, mangiato, gustato, raccontato e, perché no, migliorato nelle successive preparazioni.

Abbiamo bisogno di essere compresi (presi dentro a un rapporto), accolti, amati perché riconosciuti come valore. Oggi l’uomo è compreso unicamente in funzione alla sua capacità di spesa, accolto commercialmente, amato fino a completo svuotamento del portafoglio, poi, a tasca vuota, sono affari suoi; se vuole si può anche arrabbiare.

Perché lavorare, guadagnare e magari fare anche dei debiti per comprare casa; per mandare i figli a scuola che poi vanno via di casa e non si occupano dei genitori anziani, perché innamorarsi se poi si può essere lasciati, perché darsi completamente in un’amicizia che poi ti abbandona nel momento del bisogno, perché trattare bene un proprio simile quando altri ti trattano male, perché soffrire nel vedere l’uomo, qualsiasi uomo offeso, umiliato, calpestato se quell’uomo nemmeno lo conosco?

Nel progredire delle risposte ci accorgiamo che nessun rischio di essere abbandonati, non compensati, può bloccare la nostra vita, ci accorgiamo anche che non c’è più nulla che non ci riguarda.

Invece, al contrario: una cicca per terra ci riguarda, un uomo soffre dall’altro capo del mondo per qualsiasi motivo ci riguarda; se un uomo sorride anche il mio cuore sorride e desidera che quel sorriso sia suo e mio per sempre.

Abbiamo bisogno di un’alba senza tramonto, di un cielo che nessuna nuvola possa mai oscurare; abbiamo bisogno di un amore stabile. Abbiamo bisogno di un cuore forte, indomabile, un cuore che non si chiuda di fronte a nessuna ingratitudine, un cuore che nessuna indifferenza possa stancare, un cuore che non si indurisca di fronte all’ingiustizia.