DiSturbiVisivi – 5 – Offerta Speciale

Si rifletteva sulla ricerca finalizzata a sviluppare un nostro gusto, una nostra sensibilità quindi la nostra individualità; parlavamo del tentativo di svincolarci dai comportamenti e orientamenti della massa.

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Individuata, come si diceva, con fatica la strada che conduce al nostro io, la percorriamo con decisione fino in fondo e lì, al fondo della strada, troviamo il passaggio che conduce all’incontro con noi stessi. Varcato il passaggio la sorpresa: invece di incontrare il nostro io troviamo il nulla, il vuoto assoluto.

In genere la sorpresa è traumatica, si chiude in tutta fretta la porta e si torna indietro a tutta velocità, giunti al punto di partenza ci si guarda intorno cercando di capire se qualcuno ha visto o notato qualcosa dei nostri movimenti. Rassicurati dal verificare che non siamo stati osservati ci rilassiamo tracannando una bottiglia di scotch e cercando di dimenticare la “brutta esperienza”.

Se poi qualcuno ci chiede dove siamo stati, neghiamo di aver tentato la fuga in noi stessi e rispondiamo che siamo stati al mare a godere un po’ di sana solitudine.

Quel nulla che abbiamo trovato in noi è un altro falso del grande fratello; oltre la porta nella nostra abitazione c’è un arredamento assolutamente completo. Non vediamo nulla, non perché non ci sia nulla, ma perché la nostra cataratta è matura e sarebbe da operare senza indugio; non vediamo nulla perché abbiamo cancellato tutto di noi stessi e abbiamo indossato il “nostro” abito, quello che abbiamo confezionato con quel fai da te, che poi è fatto da altri, un abito che ci riempie di finto senso di autostima.

È paradossale: quanto di più bello della nostra identità finisce in soffitta. Ci dotiamo di concetti e atteggiamenti capaci di attrarre l’attenzione degli altri così che essi ci possano guardare con interesse e ammirazione.

Al fine di diventare molto interessanti sono indispensabili lunghe prove allo specchio: occhio deciso, occhio certo, occhio fisso, occhio ammirato, occhio che seduce (detto anche languido), occhio intelligente, occhio sicuro, occhio che si impone, occhio furbo, occhio che condanna, occhio perso nel nulla versione miss Italia.

Espressioni non nostre ma che l’occhio allenato può riprodurre bene; ma non dimentichiamo: l’occhio non mente, l’occhio è sincero, è vero, l’occhio è lo specchio dell’anima.

Si arriva a capire, come disse l’amato Antoine de Saint-Exupéry, che si vede bene solo con il cuore, se però il cuore è inquinato i nostri occhi trasmettono al cuore immagini artefatte, immagini che alterano profondamente il messaggio reale, se il cuore è puro l’interpretazione delle immagini può essere perfetta, limpida.

Per vedere veramente bene, le lenti sono sempre necessarie, occorre una lente speciale che aiuti il cuore a mettere a fuoco quello che gli occhi vedono, (a volte quello che noi vediamo non è altro che un miraggio) il lavoro più impegnativo è il posizionamento corretto della lente.

Per la messa a fuoco di quanto vediamo occorre liberare il cuore dalle moltissime inutilità che con una rapidità impressionante si accumulano nel nostro animo e si frappongono tra l’oggetto e il soggetto. Tali inutilità appaiono come trasparenti mentre non lo sono affatto. Nulla si può fare da se stessi, quindi anche per questo attività di sgombero è indispensabile l’aiuto di un maestro.

Il cuore va pulito in continuazione; la sporcizia che si deposita al suo interno viene da ogni dove; il pensiero elabora immagini che cattura in quantità enormi e le deposita nel cuore. In poco tempo il cuore è ingombro di immondizia.

I maestri si cambiano, si consumano e si cambiano; l’educazione al bello del fiero consumatore indipendente lo porta ad evolvere senza sosta e in un continuo crescendo la sua rotta che muta in continuazione. Ora consuma qua con quel maestro poi consuma là con un altro maestro e intanto ammicca a un altro verde maestro notato più in là.

Ora indossa l’abito da tempo libero, suggerito dal maestro specializzato; poi passa all’abito per la sera con gli amici, suggerito da un altro maestro; segue l’abito della cultura proposto da un altro maestro ancora; poi l’abito della spiritualità, suggerito da un maestro che se non è orientale è proprio da scartare.

Il consumatore vero è instancabile, senza sosta consuma bellezza, cultura, spiritualità, tempo libero, talvolta consuma anche lavoro. Il consumatore vero ha le sue regole: dormire pochissimo, mangiare a ore strane cose strane e dire “che bontà”; leggere libri incomprensibili e dire “che bello”, vedere film cinesi della durata di sei ore, con i sottotitoli in cirillico e, uscendo dal cinema, dire “che bello”; vantare esperienze spirituali impossibili da tradurre in italiano.

La società tutela fortemente il consumatore: la società capisce che il consumatore va conservato bene; il consumatore va migliorato e formato in continuazione.

Il consumatore deve diventare “consapevole”, si deve addestrare, deve conoscere tutte le leggi sui prodotti, siano essi alimentari, tessili, elettronici, chimici; deve conoscere tutto sul diritto di recesso e di rivalsa, di sostituzione e riparazione, di soddisfatto o rimborsato.

Il consumatore in fondo è tranquillo, sa che a tutelarlo c’è la legge, sa che la legge è dalla sua parte; il consumatore deve solo saper leggere e firmare, il consumatore deve solo impiegare un po’ del suo tempo per leggere qualche paginetta semplice, semplice e poi dire che ha capito tutto (se chiede spiegazioni fa la figura dello scemo e il consumatore vero non vuole fare la figura dello scemo), che è d’accordo e firmare, tutto qui.

Il consumatore deve avere con sè anche una lente ultrapotente che gli consenta di leggere quelle che sembrano delle righe ma che ingrandite cinquanta volte diventano parole tipo: se quello che hai comprato è una schifezza è normale, a volte succede, ci dispiace.

Stiamo attenti: a volte capitano istanti più o meno lunghi in cui ci rendiamo conto che il primo passo per riconoscere il bello e liberarci di tutto quel bello spacciato per bello che bello non è perché non corrisponde al vero; che bello non è perché ci lascia in condizioni uguali o peggiori di prima. Il bello imposto a noi consumatori consumati è un bello falso, è un bello che non indica il vero, è un bello che estingue la nostra persona.

Se riusciamo a dilatare quell’istante, a fargli mettere un po’ di radice in noi, riusciremo a valutare ricchezze che prima snobbavamo come troppo sentimentali, appartenenti al mondo del fantastico rosa. Quel bello ci dà motivo di guardare, di pensare, di parlare (non troppo); quel bello rende possibile la relazione di me con me stesso e di me stesso con gli altri.

Tutto nel nostro mondo porta al consumo e i sentimenti sono la principale fonte di reddito, se poi i sentimenti vanno ora qua ora là, l’affare si fa davvero ghiotto.

Cerchiamo di non consumare i maestri, di non buttarli via nemmeno quando diventano scomodi, ingombranti e ci dicono cose diverse da quelle che vorremmo sentirci dire; forse è proprio allora che conviene percepirli come un bene inconsumabile e prezioso.