DiSturbiVisivi – 3 – Addio Tulipani, Addio

Risposta all’articolo di Massimo Gramellini pubblicato su La Stampa il 6 marzo 2009 intitolato I tulipani dei ponti di Torino

ponte-torino

La ringrazio perché ha posto in luce un argomento che a me sta molto a cuore, un argomento di forte concretezza: la bellezza. Per questa ragione mi permetto di aggiungere alle sue alcune mie considerazioni. Sono certo che se si riduce la bellezza si toglie al motore della vita la sua benzina, se si riduce a Torino la bellezza si tocca un elemento di cui la città ha bisogno tanto quanto della metropolitana.

I fiori nel loro semplice e travolgente fascino ci educano al bello, ed educandoci al bello ci educano alla vita, al rispetto, al riconoscimento del valore; oggi abbiamo imparato a godere di questa bellezza senza estirparla, lasciandola lì dov’è.

Quando hanno iniziato a fare belli i ponti i giardinieri disponevano fioriere e fiori sulle loro spallette che il giorno dopo apparivano desolatamente spennati da coloro che quel bello lo portavano a casa loro, sparivano rapidamente sia fiori che fioriere.

Oggi fiori e fioriere rimangono (escludendo alcune eccezioni) al loro posto, le aiole mantengono il loro aspetto, quella fonte di sorrisi per il cuore sta lì a comunicarci che è il bello che ci dà l’energia per produrre: sta lì la speranza di una vita piena.

Abbiamo imparato che quei magnifici fiori sono pienamente nostri anche se non si trovano nel nostro appartamento; abbiamo imparato a sentire e vivere come nostre le strade, i ponti e le piazze. Abbiamo fatto nostro il pensiero a tutti comunicato che abitare a Torino significa abitare in una bella, affascinante città.

Sarebbe un tragico passo indietro, un passo molto lungo per noi che abitiamo questa, ora finalmente bella e viva, metropoli. Chi pensa che con il risparmio realizzato eliminando il bello dei tulipani si contribuisca alla soluzione della crisi, non arriva a capire che così facendo l’unica cosa che realizza è togliere alle strade, che percorriamo quotidianamente, il vestito bello sostituendolo con uno monocromatico, inducente stati depressivi. Le case di taluni poveri sono ricche di fiori e piante, sono persone anche loro con una pancia da riempire.

È triste pensare che cose che possono permettersi persone dal buon reddito siano chiamate “povere”: l’arte povera, la cucina povera… perché le decantiamo, le riproduciamo: forse perché sono belle e buone? Forse perché le sentiamo più autentiche? Più legate all’esperienza concreta del vivere?

Non risparmiamo sui fiori nelle nostre strade, accettiamo una briciola di povertà in più, non rinunciamo a riempirci, attraverso lo sguardo, il cuore di sentimenti autenticamente umani. La nostra città è il prolungamento della nostra casa: non permettiamo che il velo grigio dell’arida e triste crisi avvolga la nostra anima rendendoci assai meno capaci di reagire.

Se si deciderà di lasciare la bellezza al suo posto avremo le tasche leggermente più vuote, ma saremo certamente cittadini più vitali, più forti; le vitamine della bellezza avranno di certo un benefico effetto anche nello sconfiggere il male della crisi.

Posso concludere che è miope lo sguardo di colui che disgiunge l’economia dalla bellezza e la bellezza dall’economia. Spero che i nostri amministratori sappiano trovare soluzioni geniali, che riescano a far proprie quelle decisioni “dignitose” cui lei faceva riferimento.