DiSturbiVisivi – 18 – Il Bello nella Palestra Parte Seconda

Essere se stessi così come si decide di essere, oppure come si vorrebbe essere/diventare; oppure compiere il lavoro fisico per essere quello che si è nel migliore dei modi.

Mi piace l’ambiente perché contiene un campione umano molto diversificato: c’è la persona non più giovane come me che vuole mantenersi in forma o che vuole dimostrare a se stesso di essere in forma come una volta; ci sono i ragazzini/e che già vogliono essere in forma e mantenersi in forma prima che l’età sgretoli, anno dopo anno, la capacità di muoversi con facilità; ci sono tutte le età e le sfumature di mezzo.

Anche l’occhio vuole la sua parte, ed è vero, ma anche i muscoli vorrebbero la loro parte di riposo e non essere costretti, sottosviluppati come sono (i miei), a trascinarsi dietro un certo numero di chili di adipe.

Ci sono uomini e donne dal fisico perfetto che non lo vogliono perdere, anzi che desiderano incrementare il loro vigore. Ci sono persone che hanno bisogno di fare un’attività fisica per recuperare salute, invertire un percorso di decadimento di cui ci si accorge, con sempre maggiore evidenza, nel corso del normale fare quotidiano.

È un luogo di ritrovo e di impegno, di amicizia e di fatica, di dinamismo fisico e anche mentale; la mia palestra è anche il luogo della semplicità. Gli attrezzi disposti con criterio non fanno una gran bella mostra di sè, ma ognuno di essi ha una sua personalità e certamente una storia da raccontare. Uno diverso dall’altro per epoca e marca ma tutti fanno il loro dovere: funzionano.

La bellezza in palestra potrebbe essere mortificata, soprafatta da altri aggettivi quali esibizionismo, protagonismo, senso di superiorità, individualismo, selettività; si sentono racconti che descrivono con questi termini l’ambiente del fitness. La palestra che mi ha conquistato produce armonia tra corpo e mente: lì c’è proprio posto per tutti.

Riprendo dalla panchina dello spogliatoio. Dopo qualche tentativo fallito riesco ad alzarmi e a fare la doccia; avrei pensato fosse più facile vestirmi ma c’è voluto un po’, una specie di moviola forzata. Prima di uscire indosso anche un sorriso e uso il fiato rimanente per dire “ci vediamo” alla ragazza del desk.

I postumi non sono stati terribili come prevedevo; da subito riuscivo con qualche fatica ad andare in bagno. Il giorno dopo quasi camminavo; due giorni dopo riuscivo anche ad allacciarmi le scarpe: ero pronto per il secondo round.

Affronto la scalinata d’ingresso con un corpo decisamente più potente, sono passato da zero a zero,uno in tre giorni. All’ingresso della palestra ho ancora tanto fiato che riesco persino a dire “ciao” senza interruzioni; la ragazza risponde felice, forse credeva che non ce l’avrei fatta, che non sarei più tornato.

So dov’è lo spogliatoio, ormai ne conosco tutti i trabocchetti; mi cambio e, all’ora stabilita, sono presente nella sala che oggi mi sembra parecchio più piccola. Un minuto e arriva l’istruttore numero due, una deliziosa fanciulla dall’aria mite. La visione celestiale mi rassicura e le frequenza cardiaca inizia a calare.

Dovrei sentirmi abbastanza tranquillo ma inizia a pervadermi una misteriosa sensazione di disagio, qualche istante e ne comprendo la ragione: alla prima lezione considerando l’istruttore eravamo due maschi, oggi l’unico rappresentante del sesso maschile sono io. Il dubbio che si tratti di un corso riservato al sesso debole inizia a penetrare nel mio io producendo un certo sconcerto.

I miei colleghi maschi sono tutti nella sala pesi a sollevare, tirare, spingere pesi e io lì a fare altre cose con solo colleghe…. c’è qualcosa che mi sfugge, non riesco a trovare spiegazioni!

Mi sistemo, con il mio gradino, in fondo, il più in fondo possibile, cercando di mimetizzarmi con la parete: ore 14 e 30 scatta l’inizio della lezione, musica a palla e via in un misto di step, passi di danza, volteggi vari. Il mio senso del ritmo c’è per quanto riguarda l’orecchio mentre le gambe e le braccia viaggiano nelle direzioni più diverse, in perenne e fortissimo ritardo.

La ragazza piroetta con eleganza, un passo che mi richiede uno sforzo massacrante lei lo compie con leggerezza, il mio sincronismo è speculare: lei va a destra e io a sinistra, quando mi rendo conto di andare dal verso opposto e vado anch’io a destra lei ha già cambiato direzione andando a sinistra. Quando lei imposta un passo io arrivo a sincronizzarmi quando il passo è cambiato..

Anche lei è tollerante, forse perché nessuno è mai stato così sgraziato alle sue lezioni; credo di aver evitato l’espulsione solo perché mi impegno davvero anche se i risultati smentiscono possa esistere, in futuro, alcuna possibilità di riuscita.

Gli esercizi a terra che credevo fossero finalizzati al relax dopo l’intenso impegno atletico, si sono rivelati più duri che mai. L’istruttore guida: “sollevate la gamba destra, la sinistra piegata, piede a martello (?!), il tronco è ruotato di 90° verso destra mentre il capo è ruotato di 90° a sinistra. Sollevate il torace da terra mentre le braccia con movimento rotatorio, ora in senso orario poi in senso antiorario, muovono pesi che sembrano macigni.

Pensate che l’istruttore chiede se ci stiamo divertendo e come mai la risposta manca e i nostri volti sono così tesi; l’esercizio è da ripetersi otto volte, finite le otto volte ricomincia a contare fino a otto (questa volta a scalare), poi, col sorriso sulle labbra pronuncia: “ancora otto!”

In palestra il numero perfetto è l’otto, sarà perché scritto in lettere si legge allo stesso modo sia da sinistra che da destra? Oppure perché scritto in cifra lo puoi girare sottosopra e sempre otto rimane? Otto, più volte otto, sempre otto: l’arcano dell’otto.

La difficoltà in questi casi non è nel riuscire ad eseguire l’impossibile (a me) esercizio, ma tornare alla fine dell’ora a ricollocare i vari pezzi del corpo al loro posto.

Ho l’impressione che nella mia palestra vengano addestrate le teste di cuoio o le forze speciali; non che io non sia una “testa di cuoio” e che la mia forza non sia assolutamente speciale…

Finite le piroette si utilizzano vari strumenti atti ad abbattere chiunque sia riuscito a conservare qualche residua energia: sacchetti colmi di sabbia da attaccare alle caviglie (come se le gambe non fossero già abbastanza pesanti), bilancieri da sollevare con movimenti estremamente variegati, attrezzi chiamati farfalle il cui nome gentile trae clamorosamente in inganno.

Ci sono anche elastici che si possono tendere in decine di modi diversi, sembrano facili all’uso ma la fantasia non conosce limiti e spesso si usano nella posizione dell’airone, in bilico su di una gamba sola; dicono che la dotazione si arricchirà presto di orecchini in piombo per tonificare il muscolo elevatore dell’orecchio.

L’istruttore muove in perfetta sincronia ogni parte del corpo, io se muovo una gamba non riesco a pensare al braccio, lei mentre si muove non lascia fermo niente, nemmeno le dita delle mani. Sorprendente vedere un corpo che si muove in perfetta armonia in ogni parte: mi fa venire in mente il modo che abbiamo a volte di guardare e di pensare.

Analogamente alla mia limitata capacità di movimento, c’è una limitata capacità di guardare e di pensare il nostro simile, l’altro più o meno prossimo che sia. Le nostre osservazioni e riflessioni sono concentrate per l’80% su quel poco che vediamo; il perché degli atteggiamenti ci interessa poco, di solito è liquidato con frettolosa banalità.

L’uomo ha come interesse principale quello di avere ragione, per cui si aggrega con chi la pensa come lui; chi non condivide il suo pensiero è il nemico che, essendo nemico, è da aggredire in tutti i modi. Questo atteggiamento oltre che avere come esito una solitudine o ghettizzazione dell’io, impoverisce l’esprimersi della bellezza.

La totalità dei muscoli che si esprime fa vivere la bellezza del corpo, la capacità di ascolto e di dialogo fa vivere la bellezza dell’essere nella sua totalità. Argomenti settorializzati danno vita all’ottusità mentale che nel tempo si calcifica come il mio corpo che era in grado, e non senza fatica, solo di deambulare.

Ci interessa la totalità del nostro organismo, ci interessa la totalità dell’uomo che esprime domande e tentativi di risposta ai suoi bisogni fondamentali, spesso soffocati da una società che ha monopolizzato nell’uomo la cultura dell’apparire sia nella sua esteriorità che nelle sue idee.

Oggi si impone l’apparire anche delle idee, lo schematismo delle idee; anche persone che vivono concretamente in favore del bene comune, sono in parte vittime dell’ottusità della moda ideologica; tale ottusità è dimostrata dal fatto che le idee non sono sostenute da un’azione che le rende concrete.

Un pezzo di carta per terra rimane lì, attorno a lui le persone urlano alla sporcizia, all’incapacità di chi deve pulire e di quelli che lo comandano e di quelli che comandano quelli che comandano quello che deve pulire. Si urla, magari giustamente, ma nessuno nel mentre della protesta si china a raccogliere il pezzo di carta che rimane lì a perenne memoria, quasi un monumento.

Abbiamo bisogno di creare in noi un silenzio che ci porti ad ascoltare la voce del nostro essere che dice quali sono le esigenze irrinunciabili del nostro io. Di queste esigenze si trova spesso chiarezza con l’avanzare dell’età o trovandosi di fronte a situazioni che fanno capire quanto precaria sia la vita.

Per fare un passo ancora oltre possiamo affermare che la vera bellezza sta nascosta dietro la bellezza apparente che il nostro essere esprime; la radice della bellezza sta nella presenza corale e viva delle nostre esigenze fondamentali che muove il nostro agire dandogli un senso, una direzione e un’intensità.

Anche qui l’analogia con il mio istruttore è facile: tutti i muscoli del corpo si muovono in assoluta sintonia, come un complesso coro di voci e di strumenti, suoni diversi fusi in un una unica melodia. Un coro, un’orchestra, un corpo che si esprime nella molteplicità dei suoi componenti atti a produrre una sola voce, un solo suono, un solo gesto.

L’arte, nella sua accezione più ampia, può essere espressa da ciascuno di noi come esigenza / ricerca di una risposta che dia origine ad una iniziativa che, se non immediatamente esaustiva, dia, almeno come alba, una risposta al nostro bisogno di verità, di giustizia, di senso del vivere.

L’arte che la vita di tutti noi esprime, ha bisogno di poggiare la sua motivazione sulla ricerca libera e sincera del suo scopo; della ragione attorno alla quale si svolge la sua trama.

Possiamo concludere con una frase che potrebbe introdurci al nostro prossimo incontro: “Tra l’idea e la realtà, tra la motivazione e l’atto, cade l’ombra.” Thomas Stearns Eliot; il mondo sparge il contagio delle sue contraddizioni, noi dobbiamo difenderci perché il nostro vivere sia sano e non solo biologicamente sano.


Nella foto: Tersicore. S econdo la mitologia greca è la musa della danza, nata dall’unione di Zeus (re degli dei) con Mnemosyne (dea della memoria).
Letteralmente “colei che ama la danza”.